Tra il pallone e se le sit com: le vite parallele del ''pupone''

07/05/2010 12:04

Il suo allenatore Claudio Ranieri ha detto che è stato «un fallo di frustrazione». La frustrazione non fa parte del lessico del calcio, l’ha introdotta in psicoanalisi Sigmund Freud per descrivere una situazione che non permette di conseguire un soddisfacimento o di raggiungere uno scopo. Innesca meccanismi aggressivi, avverte Freud. Forse ci vuole davvero un conoscitore del profondo per spiegare certi comportamenti pubblici di , il «capitano» per antonomasia. Perché, nel frattempo, è anche Goodwill Ambassador dell'Unicef. Nel marzo 2003 ha ricevuto la nomina con la seguente mission: «Sensibilizzare e coinvolgere i giovani sui problemi dell'infanzia, testimoniando e promuovendo con il suo impegno nel mondo dello sport la solidarietà e il sostegno alle iniziative dell'Unicef».

È stato testimonial per la campagna mondiale del Wwf e di molte altre iniziative benefiche. Ma l’aspetto più sorprendente è che da tempo, attraverso gli spot della Vodafone, ci sta regalando una sorta di sitcom che va ben al di là dell’ambito pubblicitario. Con sua moglie Ilary costituisce una coppia che, per simpatia, ricorda molto da vicino quella interpretata da Vianello e Mondaini. Difficile nella storia dello sport trovare un campione così bravo come (un fuoriclasse che con le sue giocate ci ha fatto più volte capire cos’è l’essenza di questo fatale gioco; un incanto e un sigillo che si è impresso, grazie a lui, sul calcio), capace anche di rappresentarsi in una vita parallela (quella della pubblicità), situandosi alla frontiera fra bravura e sortilegio, fra consapevolezza e sogno.

è icona di un doppio immaginario, dello sport e degli spot, dell’agonismo e dell’ironia. Forse patisce proprio questo stato di esaltazione continua, di perfezione. Forse gli scatta qualcosa nella mente, un raptus, che gli spegne la luce: quasi un desiderio di sfregiare un così alto coronamento. In questo assomiglia alla sua vittima Balotelli, altro dissipatore di talento, un baciato dagli dei che decide ogni tanto di buttarsi via con gesti incomprensibili. Su Internet esistono le top ten delle bravate di (con tanto di video), una lista di gesti riprovevoli che va dallo sputo a Poulsen al calcione da fermo dato ad Ambrosini, dalla manata in faccia a Colonnese (cinque giornate di ) ai pugni rifilati al Alex Manninger. Ma «er pupone» è anche quello delle beffe agli avversari, con la scritta «Vi ho purgato ancora» esibita dopo un derby vinto e che fece imbestialire i laziali, o quello del pollice verso. Sulla graticola ci è finito spesso, a volte come provocatore, a volte come provocato. I vecchi calciofili dicono che molti di questi gesti fanno parte del gioco.

E infatti l’episodio che andrebbe maggiormente indagato per capire la dissociazione d’immagine del capitano, e il suo auto-accanimento, risale al 2007, nel corso di Livorno-Roma. Espulso per una reazione a un fallo di Galante, il capitano esce dal campo e spintona, buttandolo a terra, Vito Scala, suo e amico di sempre, una sorta di uccisione simbolica del padre. Come un eroe di Borges e di borgata, sembra inconsciamente ossessionato dall’idea che per credere nella realtà della perfezione bisogna innanzitutto credere in quella della caduta. Così rifila un calcione traditore e collettivo a Balotelli a nome di «un intero popolo». Quale?