15/06/2010 15:12
A Città del Capo, Germania 2006 esiste ancora. Esiste nelle facce e nelle gambe stanche. Cannavaro, De Rossi, Lippi, Buffon. Anche Gigi che lascia alla fine del primo tempo. La schiena, maledetta. È leredità di una squadra che non è più quella di quattro anni fa: ci sono loro, senza essere gli stessi. Fabio guarda in alto a fine partita. Lippi guarda a terra. Si chiedono il perché e immaginano domani: li metteranno in croce, li metteremo in croce. Sanno che è inevitabile: Fabio è il capro espiatorio di questa Nazionale, la faccia vecchia in unItalia di giovani. Marcello è il responsabile a prescindere: quello che mette in campo una squadra senza il capocannoniere del campionato e senza il secondo italiano della classifica marcatori. Di Natale-Pazzini: 49 gol in panca, a scaldarsi nella notte gelida del Sudafrica. Fabio, invece, in campo. Lui che non avrebbe neanche dovuto esserci.
Allora De Rossi, la via di mezzo,lanello di congiunzione tra allora e oggi, tra quel gruppo che sè preso il mondo e questo che esordisce. Perché adesso lo sappiamo: questo non è il mondiale della generazione di Berlino. Per quei reduci sarà il saluto. Allora fuori Fabio, fuori anche Gigi, dentro Daniele. Lo vedi che sarà così: ci sono stagioni che si chiudono quando credi che possano ancora continuare. Quando Cannavaro chiude gli occhi vuol dire che è finita: uno a uno è il minimo sindacale che racconta la voglia e un errore enorme. Fabio e Daniele, di chi è la colpa? Se la dividono. Non si sbaglia così: il ritardo nello stacco,la posizione,limpossibilità di saltare. Stracciati da un Carneade. Fabio non è mai stato alto, ma di testa lha sempre presa: quando sei il più forte ti mangi anche i centimetri, quando sei il più pronto anticipi anche un colosso, quando sei il più intelligente la prendi anche con i furbi. Daniele uguale.
Il pallone ha bisogno di simboli. LOlanda ha Sneijder, la Spagna ha i suoi giovani. Noi avevamo Fabio e adesso ci prendiamo De Rossi. Che stringe i denti, che sbaglia, che si fa fregare come un pollo su un colpo di testa, ma poi va avanti, sale col petto in fuori, alza la testa, si rimette in cammino. Un gol facile, certo. Un gol. Segue quello del rigore contro la Francia a Berlino, perché è sempre così: ci vuole uno che porti lo spirito di un gruppo in un altro gruppo. È De Rossi? La sfida contro il Paraguay ha detto di sì. Perché avrebbe potuto essere la rivincita di Cannavaro e invece no. Fabio cè anche se non selerameritato. Lippi lha chiamato per primo: imprescindibile, determinante, fondamentale. Come a dire che senza Fabio non cè Italia. Berlino è finita, ma non si può cancellare. Però Buffon non è lo stesso, Zambrotta neanche, Camoranesi neppure. Noi abbiamo ancora negli occhi quelli di quattro anni fa.
Dimentichiamoli e prendiamoci Daniele che sbaglia e rimedia, che magari a volte non trova il tempo giusto della dichiarazione, ma poi gioca: le prende, le dà, costruisce, distrugge. È un simbolo perché non abbiamo più eroi.È unicona della fatica e ce la teniamo, perché il talento labbiamo lasciato a casa. Gli daranno una fascia, un giorno. Come è stato per gli altri. Cannavaro è stato una colonna: uno a cui aggrapparsi quando non se ne ha più. Lui veniva fuori tranquillo, un metro prima degli altri, due metri davanti agli altri. Pu-li-to. Lo spavaldo che ti prende per mano per farti sentire sicuro: andiamo, non cè problema.Ora qualche problema cè,però abbiamo uno che ce lha risolto.
LItalia ha sempre avuto un campione, quando ha pianto e quando ha trionfato: Rossi nel 1982, Baggio nel 1990 e nel 1994, Vieri nel 1998, Totti nel 2002 e nel 2006. Cannavaro spuntò a un certo punto: sapevamo chi fosse, non sapevamo che sarebbe stato così. Adesso vale per De Rossi: sbaglia e rimedia. Ci punisce e ci fa risorgere. Non è tanto, per ora basta.