La rivoluzione del figlio del popolo

10/06/2010 11:18

tutto, e anche la vita dell’uomo.

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Quello che ha visto Francesco e che ha bisbigliato a Cristian è un sogno. Una rivoluzione: la gente, le persone. Il popolo. Gli ha indicato la Curva così come a Giorgio Rossi, un nonno per tutti i romanisti, indicò

la stessa cosa: la Sud. Con l’indice dicendo: «Lo vedi? Quel puntino ero io». Come quello che ha in braccio. Un altro figlio del popolo. Puntini... Immaginate la Roma campione. Una folla in piazza, in ogni piazza, con striscioni e bandiere a due aste con su scritto: «Che ha fatto l’Inter... net?». Oppure: «France’, l’Inter... net ha perso?». Sarebbe un messaggio rivoluzionario in un’epoca in cui la gente per strada parla da sola con l’auricolare ma senza nemmeno guardare il vicino di banco, di casa, d’ufficio, nemmeno le passanti (mentre una volta De André per le Passanti ci faceva le canzoni e l’amore). Nel tempo in cui coi telefonini ci cuoci le uova, ci prenoti la Thailandia, ci paghi il biglietto della metro e fai l’estratto conto della banca, però non una

telefonata all’amico
. Nel tempo barbaro sia per l’italiano sia per il dialetto sconfitti da Ipod, on-demand, comunicazionewiki, peer to peer, e parolacce simili. In cui la gente fa la fila anche di notte soltanto per provare l’ultimo modello della tecnologia, quello che ti fa leggere tutti i giornali del mondo mentre però non sai cos’è

capitato a tuo fratello dall’altra parte di Roma
; con una fila che ovviamente parte dagli Usa per arrivare – fortunatamente sempre con qualche mese in ritardo – in Italia. Massimo Troisi è morto invano. Lui Postino di Neruda che registrava il rumore delle stelle, e che insieme a Roberto Benigni cercava giustamente di bloccare

Cristoforo Colombo l’aveva detto, l’avevano detto: «Non ci resta che piangere» in questo tempo in cui l’amicizia è una richiesta, in cui piacciono gli elementi e non i tramonti, in cui gli amici si linkano, si

contano, si taggano. Pensate con la Roma campione, invece, la gente, la folla, l’abbraccio. Che rivoluzione.

Guardatela al Circo Massimo: la gente per strada invece che a chattare, un abbraccio reale e plurimo piuttosto che una sega multipla davanti al plasma virtuale. Gente reale, persone e bandiere, carne e stoffa: «Che ha fatto l’Inter... net?». Ha perso! Ha perso! J’amo rotto er culo all’Inter... net: di fronte alla gente l’Inter... net ha perso, nella trasferta di Parma fatta col cuore rotto dal pianto l’Inter... net ha perso. Nelle lacrime di Francesco dopo Roma-Sampdoria, l’Inter... net ha perso. Nelle auto prese a rate attraverso la rete l’Inter... net ha perso. Guardate il popolo in piazza! Anime. Ragazzini. Colori. Persino amore. Sarebbe una rivoluzione che metterebbe in cortocircuito le multinazionali: col quarto scudetto non ci sarebbero second life, né secondi fini! Ripensate a quello stendardo a due aste mentre una à brulica d’umanità, uno striscione appeso a San Pietro: «l’Inter... net ha perso». E sotto abbracci. È il sogno di tutti, il sogno di , il che è stato capace di portare spontaneamente un milione e mezzo di persone in strada. È già successo: il sogno di

è un déjà-vu
, un altro scudetto o quella Coppa dei Campioni, una promessa a un bambino. Un bisbiglio e un’indicazione. Portare un milione e più di persone per le strade di Roma. Milioni di puntini... Non i

partiti, nemmeno il sindacato; non c’è stato bisogno di convocazioni, precetti, autobus presi a nolo, ma soltanto di aprire la porta e andare. E così che il figlio del popolo può ancora fregare il mondo che punta

alla new-economy, a virtualizzare, a far comunicare tramite schermo per ridurre i problemi del contatto – perché sennò la gente parla, pensa, si ritrova in gruppi, ed è più difficile controllarla, anestetizzarla,

divertirla – che col www.quellocheviparebastachedopocimetteteunpunto promette di farci stare seduti su comodi divani dai 5 ai 90 anni con l’unico intento di annientare la partecipazione, il dissenso, l’emotività... si ritrova il cuore di Roma. Al Circo Massimo un milione e mezzo di persone gridano che esistono, credono in qualcosa e urlano il loro bisogno di cielo. L’hanno fatto nel 2001: «Alza gli occhi al cielo e guarda

sta à..
.». Guarda che succede alla à se perde l’Inter... net! Guarda la à reale non quella virtuale.

La à di Roma, nemmeno quella delle tavole di Baltimora. La à ideale è una à che vive. L’Odissea del 2001 immaginata da Kubrick si è realizzata col tricolore romanista. Un capitano ha riportato la gente ad appropriarsi di uno spazio. Dello spazio:
mio Dio era pieno di stelle. Nel mondo dell’Inter... net che vince, del villaggio globale senza più focolare, è un’eresia, è uno che è rimasto sempre timido, sempre se stesso, un puntino non un pixel. è rimasto sempre Francesco, è rimasto sempre alla Roma: ha detto no ai soldi di Milano e di Madrid no alle vittorie perché il sogno non era solo vincere, ma quello di restare un posto da indicare al figlio. È così che il figlio del popolo rappresenta il popolo, il bisogno di tutti di un’identità che non c’è più. Di sogni. Di sugo. Di sacro.