Spalletti: «Adriano è un fenomeno. La più grande garanzia è Ranieri»

06/06/2010 10:48

ha un paio di jeans, una camicia bianca e una giacca blu. È abbronzato come sempre. Ospite della Peroni nel centro tecnico federale, l’ex allenatore della Roma si racconta a 360 gradi. E, al microfono di Sky, svela tutti i particolari della sua avventura russa. Racconta di quanto siano «preparati i calciatori», di quanto sia complicato organizzare le trasferte «perché a volte vai a giocare in à dove ci sono tre ore di fuso orario», e di

come, prima di andare al campo, abbia «bisogno di mangiare almeno due cornetti».

 

Il cuore, però, è rimasto a Roma. Per questo quando Massimo Tecca gli chiede un commento sul suo ritorno in con lo Zenit, lui risponde pensando alla Roma. E dice: «Vedrete che dei giallorossi se ne sentirà parlare parecchio anche in questa competizione. La Roma ha dei grandi giocatori e un bravissimo allenatore. Quest’anno ha fatto una stagione fantastica, per cui meriterebbe il premio della critica. Nella prossima stagione può fare qualcosa di simile». Con un Adriano in più: «È un ottimo giocatore, la sua garanzia è Ranieri. Credo molto in Claudio, persona seria e gran professionista».

Gli occhi di Spalletti, nella quiete di Coverciano, si illuminano quando parla di Roma. Se ne accorgono tutti, anche un tifoso che gli chiede di fare una foto «perché lei, mister, mi è rimasto nel cuore». «Quello con la squadra e la à - dice ancora a Sky - è stato un grande amore. Una passione condivisa con migliaia di tifosi e anche con i giocatori». Si è parlato di dissapori con : «Con Francesco ci siamo chiariti, abbiamo parlato anche per telefono. Ho un ricordo splendido di lui e di tutti gli altri. Ha un cuore grande così, come i suoi compagni e come la meravigliosa gente di Roma. Due anni fa ci hanno sfilato uno scudetto, in questa stagione i ragazzi ci sono andati vicini. Sono convinto che presto avranno tutte le soddisfazioni che meritano».

Mentre lo spiega, l’ennesimo sorriso. Che poi diventa una vera risata: «I romanisti mi fanno sentire sempre il loro affetto. Roma è magica anche per questo».

LE SUE VERITA' Durante la lezione che riserva ai fortunati vincitori del concorso misterperoni.it nell’aula magna di Coverciano, Luciano Spalletti regala qualche chicca. Si leva la giacca, arrotola le maniche della camicia, e si mette alla lavagna. «Più che una lezione - spiega ai ragazzi - questo è uno scambio tra a me e voi. Io cerco di portarvi un po’ della mia esperienza in Italia e all’estero». E, a proposito di estero, lontano dalle telecamere, un ragazzo gli chiede: «Ma a Parigi, dal presidente del Chelsea, c’è mai stato?». Lui sorride, posa il pennarello, si appoggia alla cattedra, ripensa a quell’incontro nell’estate del 2008, e risponde: «Sì, ci sono stato. Ma non avevo intenzione di andare via dalla Roma. Roman Abramovic mi aveva fatto sapere che mi avrebbe voluto conoscere perché aveva sentito tanto parlare di me. Io sono andato perché era una sorta di premio a tutto quello che avevo fatto con la Roma. Essere cercato da Abramovich fu un onore. In quell’albergo incontrai e fu lui a rivelare tutto». Lui, invece, avrebbe mantenuto il silenzio: «Anche perché i miei pensieri, posso assicurarlo, erano rivolti solamente alla mia squadra. Ci avevano appena tolto uno scudetto che avremmo stra meritato».



Ascoltare Luciano Spalletti mentre parla di tattica è una fortuna assoluta. L’attuale allenatore dello Zenit con i suoi schemi ha incantato tutta Europa e carpirne qualche segreto è cosa rara. Ma, a Coverciano, qualcosa rivela: «Per prima cosa - dice - vi assicuro che senza grandi giocatori gli schemi non funzionano. Io, nella mia Roma, avevo gente come e , mica i primi arrivati. E poi c’erano Taddei, Perrotta, Vucinic e altri grandissimi giocatori». E a proposito di Perrotta, Spalletti svela: «A volte ci sono delle parole o delle frasi chiave nelle squadre. Quando noi dicevamo "Palla lì", significava che in quello spazio Simone doveva inserirsi». E il pensiero corre veloce ai tanti gol fatti da Perrotta proprio così, con quel ruolo cucito su misura per lui. Non solo: quando la frase era "Tutti a casa" significava che la squadra doveva essere corta e compatta, coi giocatori dietro la linea del pallone. A Madrid, nella meravigliosa notte in cui la Roma trionfò al Bernabeu per 2-1, più di qualcuno, in campo e in panchina, strillava proprio così. Un po’ perché bisognava rimanere concentrati, un po’ perché era il coro che partiva dallo stracolmo settore ospiti in una notte che, lo stesso Spalletti, ha definito «indimenticabile». «Se urlavo "Palla lì scattava Perrotta»

 

«Il mio rimpianto? Non aver regalato ai tifosi della Roma quello che meritavano. Mi rimarrà sempre il rammarico di non aver fatto gioire questa gente come sarebbe stato giusto. I romanisti hanno un cuore grande così. Li ho visti quest’anno: andare in diecimila a Parma, dopo quello che era successo con la Sampdoria, non era facile. Ma loro lo hanno fatto. Perché sono meravigliosi. A Verona erano uno spettacolo».

Luciano Spalletti, a Sky, parla così dei tifosi della Roma. Si emoziona, mentre pronuncia queste parole. Perché quattro anni del genere non si dimenticano: «E come potrei? Sono affezionato a questa à, dove ancora vivono i miei figli che sono romani e romanisti ormai. I tifosi della Roma sono nel mio cuore e nessuno li sposterà mai da lì. Mi dimostrano tanto amore ogni volta che torno e, ripeto, il mio unico rimpianto è non avergli regalato la gioia più grande. Non saprei scegliere il momento più bello di questi anni, ce ne sono davvero tanti. Posso solo dire che è stato un grande amore, una passione condivisa con i calciatori, la società e migliaia di tifosi che ci hanno seguito dovunque. Era bellissimo vederli in ogni à, da quelle più vicine a quelle più lontane». «I romanisti hanno un cuore infinito»

La sua frase «Julio Sergio? È il miglior terzo del mondo» ha ormai fatto storia. Per questo Luciano Spalletti, alla luce della grande stagione del brasiliano, non può non parlarne: «Su di lui - spiega - ho sbagliato io. Mi sarei dovuto accorgere prima delle sue qualità. Mi fa piacere che abbia disputato un anno splendido, perché lui è un gran bravo ragazzo». Se però la partita con la del 30 agosto fosse andata diversamente, Julio Sergio sarebbe rimasto titolare anche con Spalletti in panchina: «Sì, avrei continuato a farlo giocare. Quando ho deciso di farlo partire dal primo minuto con i bianconeri ho preso un rischio, così come avevo fatto con Doni che debuttò in un derby. Comunque mi prendo la colpa, anche se non è stato l’unico giocatore che con me non ha reso al meglio. Penso anche a Julio Baptista, che consideravo e considero un grande campione. E mi auguro che prima o poi possa dimostrarlo».

Questo è quello che Spalletti dice davanti alle telecamere. A riflettori spenti, nell’aula magna di Coverciano, un ragazzo gli richiede di Julio Sergio. E lui risponde così: «Indubbiamente, alla luce dei fatti, ho sbagliato

a non farlo giocare. Ma continuo a pensare che Doni sia un grandissimo ».