21/07/2010 11:37
Il Capitano parla dal ritiro giallorosso a Riscone di Brunico, vicino a Bolzano. Dichiara come farebbe un presidente del Consiglio durante una visita allestero. Prende posizione sulle discussioni in patria, da solo si fa carico dei sentimenti di un popolo e, rivolto ai lumbard, asserisce: «Non rispondo a gente che non canta nemmeno linno nazionale. Ho sempre risposto che sono fiero di essere romano, lho sempre detto».
Bastano queste parole per caratterizzarsi come il leader più credibile di cui lopposizione italiana disponga attualmente. Uno che abbia dimestichezza con i modi e i mezzi dellacomunicazioni, che non disdegni la plebe e non sembri bollito.
Nel muro contro muro con la Lega, Totti non oppone le boutade di un Fini sulla generazione Italia dei Balotelli. Lui, il bresciano nero dellInter, lha preso a calci durante una partita: sublime espressione di integrazione, menato non perché nero, ma perché lombardo e interista. Ieri, poi, la retromarcia con straordinario talento politico: «Cè stato un momento in cui ho pensato di smettere per quello che era successo però alla fine parlando con delle persone importanti mi hanno fatto cambiare idea, perché quando cè la passione è difficile andare su altre strade».
Il Pupone batte anche la strada impervia della questione meridionale, si oppone ai fervori prepolitici del dàgli a Roma ladrona e ribalta la frittata: «Purtoppo ci sarà sempre invidia tra Roma e il Nord, però penso che dovrebbero pensare di più allItalia rispetto a quello che dico o faccio io o i romani».
E cinfila pure la puntata sulla giustizia: «Questanno lo scudetto lo abbiamo perso noi nel secondo tempo contro la Samp. E alla fine è giusto così». Però, gli interisti «ci hanno rubato due scudetti», sono come gli juventini pre-Calciopoli: «È cambiato poco, cambiano solo i colori. Mancano i fischi degli arbitri? Quelli mancano sempre, il problema è che gli altri sono più forti ma sono anche tutelati da tutti. I torti ci sono sempre, poi provi sempre a pensare che sia tutto fatto in buona fede, ma ci pensi».
Il partito Forza Roma - Mentre scema la distinzione destra/sinistra e si allarga la diga tra Nord e Sud, Totti si insedia alla testa di uno schieramento antileghista non necessariamente progressista. Un ipotetico partito Forza Roma che potrebbe trovare spazio nellalveo del PdL oppure portare acqua fresca al Pd, magari con linnesto di leader come Sabrina Ferilli, tanto perché le Veline (nel caso, Velone) in Parlamento hanno successo. Non è un caso, forse, che la Ferillona in persona abbia manifestato tempo addietro qualche inedita simpatia berlusconiana e alcuni prevedibili ripensamenti sul centrosinistra. Cè pure il padre nobile: Carletto Mazzone, il quale ieri gli ha schioccato una pacca sulla spalle: «Non ti arrabbiare, non addentrarti in certe cose. Noi romani non stiamo tanto simpatici, ma nessuno ama la città e ha determinati valoricomenoi». Eccounaltronome: La Roma dei Valori.
Totti è lunico in grado di reggere lurto dei Tremonti, dei Calderoli e dei Maroni. Finisce sui giornali e i politici - quelli di professione - gli corrono dietro, si accodano. La settimana scorsa, intervistato da Radio2, disse che «se la Lega Nord ce lha con Roma è perché gli uomini di Bossi sono invidiosi del fatto che la nostra città è la più bella del mondo». Lavesse detto Veltroni, avrebbe ottenuto un rimbombare di pernacchie. Fosse stata una frase di Rutelli o di Zingaretti non sarebbe giunta oltre lArno. Invece furono parole del Pupone e giù reazioni imbufalite. Calderoli («Lo dice perché non ha mai visto Bergamo»), Garavaglia («Bella sì, ma con i soldini che arrivano dalla Padania»). A ruota gli uomini di sinistra, a far la figura degli estranei in un dibattito che non li riguardava. Poiché dagli Zingaretti e pure dai Fini ci si aspettano uscite prevedibili, Totti invece ispira al suo pubblico sincerità e identificazione. Se qualcuno sentisse il bisogno di un Silvio in sugo romano, eccolo.
Un manifesto ideologico - Le dichiarazioni di Francesco sono un manifesto, sanciscono unideologia: il tottismo. Pochi valori, ma chiari: dio, patria e famiglia. Dio cè, sullo sfondo, con difficoltà, ma si intravede nei rituali e nelle esternazioni. La famiglia Totti ormai è celebre comequella Flintstone: lavediamo in televisione ogni giorno. La moglie, peraltro, ha un nome da first lady, seppur romanizzato: Ilary, già definita nellintervista galeotta «bellissima». Li conosciamo come icona della coppia giovane, ma unita; moderna e insieme antica, legata ai valori seppure aperta ai cambiamenti del costume, agli smartphone, con una patina mediaticamente berlusconiana che non può non piacere. E la patria, beh... Inno nazionale, Roma Caput mundi e via con la retorica. Però credibile, appassionata.
Totti può infastidire, ma è tutto tranne cretino. «Sono buono, non riesco a capire come sia possibile invece che risulti antipatico. Lunica spiegazione che mi posso dare è perché sono romano», piangiucchia. Finora è lunicogrande condottiero che la Capitale abbia prodotto, uomo di popolo e di potere. In politica, ci starebbe più che bene. Del resto, la sua parte come calciatore lha già fatta (lo ha detto ieri, rifiutando a priori il ritorno in Nazionale: «Sono vecchio»). È tempo di trovare un altro mestiere.