Quando Viola disse: "Non esiste che non passiamo noi"

26/08/2010 13:04

Lui stesso, da questo punto di vista, deteneva il record assoluto, visto che la leggenda vuole che fosse riuscito a far rinviare di alcuni giorni l’inizio del girone finale del mondiale argentino per poter tornare a Siena ed assistere al palio. E’ sì, Artemio Franchi è stato per anni capitano della Torre e del Palio conosceva intrighi, misteri e trattative sotterranee… Ma è certo che per tenere a bada giochi e giocolieri del calcio europeo conoscesse bene anche i trabocchetti delle operazioni di sorteggio delle competizioni UEFA.

Non avendo a disposizione uno scrigno di segreti come quello di Franchi, dirigiamo convinti su alcuni aspetti di “colore” che hanno riguardato la Roma. Il tasto che mi piace di più sottolineare è quello della spontaneità, delle reazioni fuori dal coro. Nel 99% dei casi, infatti, l’avversario estratto dall’urna è sempre insidioso, il compito arduo e la squadra che si va ad affrontare, invariabilmente “avanti nella preparazione”. Il tutto condito da un cerimoniale ingessato in cui tutti fanno finta di essere i migliori amici possibili.

Andò ben diversamente quando nel marzo del 1996 la Roma dovette incrociare la strada dello Slavia Praga. Fu antipatia a prima vista, facilitata dalle allucinate dichiarazioni del tecnico dello Slavia, Cipro, che fece sgranare gli occhi a tutta la sala stampa con delle grossolane insinuazioni secondo le quali la  Roma avrebbe provato a schierare 4 stranieri invece dei 3 previsti dal regolamento, puntando poi ad un ricorso alla magistratura ordinaria per aggirare il veto UEFA.
 
Se sulla panchina giallo-rossa ci fosse stato Sven Goran Eriksson forse le dichiarazioni sarebbero state comunque concilianti, sfortunatamente per Cipro, la Lupa era diretta da Carlo Mazzone, che reagirà nel momento in cui, trovandosi sullo pseudo campo di calcio dello Slavia, troverà ad assistere all’allenamento
l’intera squadra avversaria: «Questi sono banditi – esordì furibondo Carletto – Fanno finta di non sapere che 24 ore prima della partita soltanto la squadra ospite può allenarsi sul campo di gara. Il terreno poi è in condizioni pietose, figuriamoci se può assorbire due sedute d’allenamento».
 
Altro demolitore delle sterili etichette del calcio era l’immenso Dino Viola. Quando a settembre del 1983 si trovò messo di fronte all’accoppiamento con il Goteborg, l’ingegnere assistette alla magistrale rappresentazione teatrale di Liedholm. Il concetto esposto dal Barone era più o meno questo: il Goteborg aveva un centro tecnico a Komratgarden all’avanguardia, nel 1982 aveva vinto la Coppa UEFA, la squadra aveva già disputato 20 gare di campionato ed era al top della condizione. E dunque per i suoi ragazzi riuscire a passare il turno sarebbe stata un’impresa memorabile.
 
Ammaliati dal carisma dello svedese i giornalisti si avvicinarono a Viola contriti per il quadro che avevano visto disegnare. Il presidente s’impossessò del primo microfono a portata di mano e con l’ inconfondibile tono
a mezza voce disse: «Per me è come se avessimo già eliminato il Goteborg, non ammetto nemmeno per ipotesi che la squadra non ce la faccia». Quella edizione della Coppa Campioni vide la Roma schiantare il Goteborg e disputare la finale con il Liverpool.
 
Con i reds, in seguito, il primo tentativo di rivincita si presentò nel febbraio del 2001 negli ottavi di Coppa UEFA. Tra le due squadre c’era un abisso, ma come diceva Trapattoni, mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Fu così che tutti trasalimmo quando Francesco Graziani commentò l’abbinamento con gli antichi avversari dicendo: «Diamogli una lezione». La Roma, dopo la disastrosa gara all’Olimpico sarebbe anche stata disposta, ma ad Anfield Road l’arbitro (beh, arbitro…)  Aranda inventò una direzione di gara che fece scrivere al Daily Mail: «Il Liverpool ringrazia, chi avrebbe pensato che il suo miglior giocatore sarebbe stato  Aranda e non Owen?». L’ex arbitro internazionale inglese Clive Thomas chiosò dicendo che si era trattata della direzione di gara più bizzarra a cui avesse mai assistito nella sua lunga carriera.
 
Lo spazio è tiranno e dunque per la conclusione ci sembra opportuno sposare lo spirito con cui attendeva i sorteggi Helenio Herrera. Per il Mago, non era tanto importante pescare un avversario piuttosto che un altro,
quanto avere la possibilità di utilizzare nella sfida le casacche bianche che erano il suo irrinunciabile
portafortuna. I nostri colori portafortuna sono altri, ma il concetto ci piace.