Radio e tv locali «oscurate». Stop alle dirette integrali, protestano i tifosi

30/08/2010 11:26

Perché tutto è cambiato mentre per anni è rimasto com’era? Semplice: la rivoluzione nei diritti radio-televisivi (il ritorno alla vendita collettiva; oltre un miliardo nelle casse dei club, fonte primaria di ricavo per i ritardi negli stadi e nel merchandising, etc). Ne consegue, vista l’approvazione delle linee-guida e dei pacchetti, la competenza in materia non più della Lega calcio (le diffide mandate dagli avvocati di via Rosellini a chi sgarrava non frenavano) ma dell’Agcom (cui l’art. 5 del decreto legislativo n.9 del 9 gennaio 2008 affida «compiti relativi al diritto di cronaca e alla relativa vigilanza»). E un procedimento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (anche se più lento nei tempi) mette più paura agli editori.

Le prime a farne le spese sono state le tv: stop alle dirette con telecamere sui «faccioni» in tribuna stampa. Poi è toccato alle radio (già qualche sanzione, però, nella passata stagione), con Roma, prova di un tentativo di mettere ordine dove c’era deregulation: la Rai, spiegano, paga (3,2 milioni di euro per il 2010-12) ed ha diritto alla salvaguardia dell’investimento per «Tutto il calcio minuto per minuto». Ma dall’emittenza radiofonica parte un sottile quesito giuridico: è il «diritto disponibile»? Un conto, dicono, sono le riprese video (qui viene fornito un servizio, da quest’anno prodotto dalla Lega stessa) o le interviste ad allenatori e giocatori (dove, infatti, ci sono delle scalette in base ai contratti), ma raccontare un evento pubblico può essere oggetto di vendita, commercializzazione, esclusiva, divieti e sanzioni? Per la Lega e le società evidentemente sì. Radio (e i loro devoti ascoltatori) rispondono (e sperano) di no. Una partita, forse, da giocare. Fuori dal campo.