Tifo violento, la tessera è solo un pretesto

23/08/2010 11:12

Se siamo arrivati a un punto così delicato e burrascoso, si deve al fatto che, in questi anni, abbiamo parlato più degli stadi che dei loro abitanti. Intendiamoci: «parlato» alla nostra maniera, certificandone le carenze architettoniche e giustificando gli eccessi degli inquilini con i difetti delle tane. Tempo un paio di stagioni, e la avrà il suo impianto: dubito che, all’improvviso, certa feccia scompaia come per magia.

Il primo a teorizzare stadi senza tifosi ospiti fu, casualmente, Silvio Berlusconi. La televisione ha contribuito a svuotare le arene e a riempire gli istinti. Difficile immaginare il calendario spezzatino quali benefici porterà, se mai ne porterà, al ripristino della legalità nelle curve. Il guaio è che, spesso, i primi ultrà sono i genitori; e i secondi, i dirigenti. Quando si la tessera del tifoso, il ministro Maroni rifiuta il concetto di «schedatura». All’Uefa non piace, all’estero il tifoso viene considerato tale, e basta: se commette reati, finisce in galera (e non a gestire le bancarelle della società); viceversa, se squaderna la passione in modo positivo, può aspirare a cariche di rappresentanza (Inghilterra). Da noi, si preferisce navigare a vista, in quella zona grigia e ambigua che è l’emergenza continua. -Milan del 9 maggio scorso venne giocata a porte chiuse perché, a quindici anni dall’omicidio Spagnolo - un tifoso rossoblù accoltellato da un ultrà rossonero - le forze dell’ordine temevano feroci ritorsioni. Ripeto: quindici anni dopo. Limitare la libertà individuale può essere un prezzo da pagare in condizioni particolari, e per un periodo determinato; non, però, al di là di ogni ragionevole rimedio e durata. Ecco, credo che un Paese normale non possa e non debba vivere sempre e comunque sotto la cappa di minacce incombenti, per debellare le quali basterebbe applicare, e non interpretare, la legge.

Non è un problema strutturale, la violenza nel calcio: è un problema culturale, etico. Servirebbero dirigenti capaci di guardare oltre il proprio naso. La «tessera del poliziotto» fu una battuta infelice di . Il giocatore della Roma avrebbe dovuto dire «del politico, del dirigente, del giornalista».