08/09/2010 11:22
Quando vai a vedere Manfridi hai sempre limpressione che la Roma ha finalmente ciò che si merita (e proprio la tua Roma, la Roma che è solo tua, in uno spettacolo dove finalmente noi siamo «me, il me più me» possibile) senti la polvere - recente - della biblioteca e del teatro e della storia, ma dopo uno spettacolo come quello di ieri e dellaltro ieri sera limpressione se sei romanista è unaltra: stai male. Stai male e ti mancano le parole. Ma stai male solo perché sei appena andato via, perché sei uscito dalleterno istante sospeso in cui Agostino Di Bartolomei sta calciando il calcio di rigore che per cinquantadue secondi ti ha fatto campione dEuropa. Stai male perché lhai rivissuto. Non piangi per quella sconfitta che è la sconfitta di tutte le sconfitte, nemmeno per il ricordo di un uomo, di un capitano morto suicidia ma sempre vivo dentro di te, no. Stai male come sta male un vincitore, anzi un vincente, di quella nostalgia delle cose non accadute. "Roma-Liverpool, 30 maggio 1984" con Manfridi non lhai persa. Ma non è una finale a sorpresa - chi si permetterebbe mai una stronzata del genere su una cosa del genere?! - non è un Buongiorno, notte in cui Roberto Herlitzka libera Moro. No. Non cè nessun buongiorno. Stai lì immortalmente imperfetto. Chi ha vissuto quella notte, quella Roma, - la mia Roma - «ha visto la Madonna, magari non ci ha parlato ma ci è apparsa sì». Nessuna blasfemia, si può andare a vedere. O a sentire. Un stoc più che un toc-toc nel momento in cui Agostino Di Bartolomei tira quel calcio di rigore e bussa alle porte del paradiso.
Quando finisce te ne vai con un Ago nel cuore conficcato su un Tuttocittà (45-D 3 che sembra il risultato della partita 3-5 DCR). Cè una speciale provvidenza anche nella morte di un passero. Forse ce nera anche in quella partita. O nel gesto del "mio" capitano. Come fai a non piangere?