«Baggio e Totti, i miei campioni»

11/11/2010 10:26

tributato a Baggio dai Premi Nobel per la Pace e che

lo attende domani a Hiroshima. «Quando ho saputo del premio – dice – gli ho mandato un messaggio con il telefonino. E lui mi ha risposto subito. E’ davvero un grande ragazzo. Un campione vero, che il calcio italiano è stato capace addirittura di emarginare. So io quanto è stato maltrattato».



Si è mai chiesto perché in tanti, tra i suoi colleghi, gli siano stati così ostili?

 

«E’ gente che ha spesso preso questa posizione per pubblicizzare se stessa».



Per alcuni, forse, c’era anche la paura di essere oscurati dal suo talento.



«Ma i protagonisti del gioco del calcio sono i calciatori. Ed è giusto che siano loro alla ribalta».

 

A Baggio Trapattoni tolse la ribalta del Mondiale, nel 2002.



«Se c’è un collega al quale sono sempre stato legato è proprio lui. Basti dire che lo chiamavo “fratello”. Quella volta però ci trovammo in contrasto, perché lui non gradì una mia intervista. Ma Roberto fece di tutto per recuperare in tempo dall’infortunio, grave, che ebbe quell’anno. Non era forse al cento per cento, ma avrebbe meritato di andare».



E’ vero che provò a portare Baggio anche a Roma?



«Ho sempre avuto una grande stima di Roberto, anche se oggi, a distanza di tempo, non ricordo se ci fu realmente quella possibilità».



Che coppia sarebbe stata quella formata da Baggio e ?



«Di certo avrei ottenuto più vittorie e, oggi, avrei anche più capelli. Mi fa piacere che non mi abbia chiesto chi fosse migliore dell’altro. Non mi piacciono i confronti. E’ come chiedersi se sono più buoni i fagioli o la salsiccia. Fagioli e salsiccia stanno benissimo insieme. E così sarebbe stato con loro due».



Il premio che viene assegnato domani a Baggio tiene conto soprattutto del suo adoperarsi in favore degli altri.



«Sono felice che, più che il calciatore, sia stato premiato l’uomo. Perché, tanto per spiegarne la grandezza, se tutti gli riconosciamo di essere stato un grande campione come giocatore, dal punto di vista umano dobbiamo moltiplicare questo valore almeno per tre».



C’è qualche episodio che le torna alla mente di quei tre anni insieme a Brescia?



«Ricordo di un patto che c’era tra noi. Lui sapeva che non avevo piacere che, in trasferta, l’albergo si riempisse di tifosi che lo assediavano, ma non voleva mai negarsi ai fans. Gli dissi: "Roberto, mo’ basta. Fammi un cenno toccandoti la testa, e io intervengo chiedendo che ti lascino in pace". Lui, invece, la testa non se la toccava mai. Un giorno, cacciai via tutti. Lui non sapeva fare il cattivo. E poi, ricordo il dramma che vivemmo tutti quando morì Mero. E so di cosa fu capace Roberto. E come allora, in tante altre occasioni, sempre senza apparire».



Un pregio che lo accomuna a , anche lui in prima fila quando c’è chi ha bisogno.



«Ho conosciuto Roberto quando era già in età matura, e Francesco quando era ancora un ragazzetto. Ma tutti e due grandissimi campioni, anche sotto il profilo umano».



Possiamo dire che sono i due giocatori più grandi che si è trovato ad allenare?



«Per la carriera che hanno fatto, probabilmente sì. Anche se ho avuto con me campioni come Antognoni, Aldair, o lo stesso Dirceu. E non vorrei lasciarne fuori altri. Mi piace però ricordare Renato Campanini, capitano dell’Ascoli che passò dalla C alla A».