È tornato Franceschino

04/11/2010 10:55

che a confronto Italia-Brasile 3-2 è stata una partita noiosa. Va bene che l’abito bianco da sera
la Roma l’abbia usato come un camice da macellaio, da secondino, da operaio. Chiazze rosse qua e là. Va benissimo così, col cuore e col sudore. Perché oltre al futuro che in Europa si riapre (domanda: quale è la squadra italiana che in questi due giorni ha vinto nella coppa più importante?) - con tutte le prospettive economiche che ne seguono - la Roma ha ridato una bella coloritura alla sua anima romanista. Determinata. Sudata. Sanguinolenta. Rossissima. La Roma doveva vincere, ha vinto e può ancora farlo. Deve. Perché oltre alle palle e al sacrificio (com’è lontana quella languida esultanza al gol di Borriello
cogli svizzeri all’Olimpico) la Roma ha vinto facendo intravedere anche come può farlo, almeno per mezz’ora del primo tempo. Ed è significativo che in quel momento, quando pensava a giocare, quando non aveva paura di farlo, nemmeno rischiava di prendere gol. Era aristocratica, tranquilla, sicura e distaccata come Vucinic, come Menez. I numeri ci sono, ci sono sempre stati in questa stagione, lo hanno sempre saputo tutti, è che bisogna ricominciare a fare le tabelline. A sentirsi piccoli proprio perché si è grandi. La cosa bella di questa notte non è tanto questo 3-2 di metallo grattato via con le unghie, ma guardare a quell’1-3 cogli stessi avversari due settimane fa e chiedersi quello che tutti si chiedevano dopo il primo tempo di ieri: com’è stato possibile finire così all’Olimpico? Significa che quella sconfitta, che pure tutte le altre sconfitte dipendevano da noi e che quindi da noi dipenderanno anche le vittorie. Già da domenica.
 
Nella settimana che ci porta a sfidare i custodi della tradizione greca (non si sa bene che significa, ma sono parole loro) pare profetico che il gol l’abbia fatto Greco; il mezzo autogol di Burdisso è servito soltanto per ricordare Paolo Negro. La giocata di Menez i 50 anni di Maradona. Poi gli stop di Vucinic, gli strappi di Borriello, gli allunghi di Juan. E poi un’altra cosa. Perché ci sono i campioni, i fuoriclasse e poi ci sta . Forse la cosa più bella di questa nottata svizzera non è stato il suo ritorno al gol dopo 176 giorni, il duecentoquarantaseiesimo con questa stessa maglia, nemmeno quel pallone incollato al piede per quasi tutti i minuti di recupero, tra la bandierina destra e quella sinistra, appoggiandovisi e sembrando Napoleone, ma quell’espulsione a Stroker che sa tanto di nemesi, di giustizia, di cose rimesse
a posto nel modo giusto. E’ il suo insegnamento per domenica, quando bisognerà rimettere a posto un’intera classifica capovolta, quando bisognerà vincere e per farlo andrà bene tutto davvero. In fondo basterà soltanto essere la Roma.