Agostini: "La Curva Sud è indimenticabile"

15/01/2011 11:36

IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - 
 Due stagioni nella Roma, dall’86 all’88, ma anche tante altre squadre, in giro per l’Italia, attraverso le quali è maturata la sua carriera calcistica. Soprattutto, tanto Cesena: da giocatore prima, e da allenatore oggi. Lui è Massimo Agostini, classe ’64, detto il Condor. «Il soprannome – racconta al Romanista l’ex attaccante - me lo diede Patrizio Sala, nelle mie prime due stagioni in B qui a Cesena. Ero magro, alto, con quel profilo inconfondibile dato dal mio naso. Un giorno, nel vedermi avventare sulla palla, mi chiamò in questo modo. “Condor” piacque a tutti, per primo a me, e da allora mi ha accompagnato ovunque».

Dopo quell’inizio tra i cadetti, il passaggio alla Roma.

"Due anni importanti, per la mia crescita, quelli in maglia giallorossa. Per un ragazzo di 22 anni, che arrivava dalla provincia in una piazza come quella, voleva veramente dire fare il grande salto. A Roma mi aveva voluto lo stesso Eriksson, con il quale mi sono trovato benissimo. In quel primo anno, anche partendo dalla panchina, ho collezionato 22 partite e se c’è un rammarico è l’esser rimasto fermo 8 turni per un infortunio, che mi ha condizionato anche nella stagione successiva. La squadra, quell’anno, fece abbastanza bene: fino intorno alla ventesima giornata eravamo ancora nelle prime posizioni; poi ci fu la di Pruzzo, io mi ruppi la caviglia e, così, con 2 soli punti nelle ultime sette partite, arrivammo settimi. Con Eriksson che, nelle ultime due, lasciò la panchina (sostituito da Sormani, ndr). Andò meglio l’anno successivo, quando finimmo terzi con Liedholm, anche se con il mister non legai come avrei invece voluto. Ad inizio stagione sembrò infatti che la coppia titolare in attacco dovesse essere quella con me e Rudi Voeller, arrivato quell’estate. In effetti, eravamo ben assortiti. Poi, invece, Liedholm optò per l’esperienza, riportando Pruzzo titolare. E, per me, non fu più facile ritrovare il posto, anche perché il mister mi chiedeva spesso di giocare fuori ruolo, da tornante, o addirittura da terzino. Fu così che, nonostante avessi ancora un anno di contratto, preferii andar via a fine stagione. Tornai al Cesena, dove c’era ancora il presidente Lugaresi: rimasi in bianconero altri due anni, prima di passare al Milan. Ma, lo ripeto ancora oggi, se non vi fossero state le incomprensioni con Liedholm, a Roma sarei rimasto volentieri anche a lungo, per la straordinarietà della à e dei suoi tifosi. Quella curva è difficile dimenticarla. Mi dispiace semmai di non averle potuto regalare quello che, magari, mi è riuscito di esprimere meglio altrove. Il mio legame con Roma, comunque, resta fortissimo. Ho ancora tanti amici là e mi fa sempre piacere tornarvi."

Un legame forte anche quello con Cesena e la società bianconera.

"Qui sono nato come calciatore, passando per tutte le formazioni giovanili, dalla Berretti alla Primavera, e poi in prima squadra. E sempre da qui ho avuto la possibilità di andare a giocare in società importanti. Come la Roma, il Milan o il . E anche oggi, che ho smesso di girare, è qui che sono di nuovo, come responsabile della Primavera del Cesena."

Un amore, quello per il calcio giocato, che le ha fatto calcare i campi, seppure delle serie minori, fino a quarant’anni ed oltre.

"Prima che un lavoro, per me il calcio è stato una passione e un divertimento. Mi hanno sempre insegnato che, prima di smettere e finché ce n’hai, di forza e voglia di divertirti, è giusto continuare a giocare. E, anche se con i Dilettanti, ho trovato bello farlo."

Belle soddisfazioni quelle che si è preso come tecnico del Murata, oltreché della nazionale under 21 di San Marino.

"In due anni abbiamo vinto cinque trofei. Con ragazzi che nella vita fanno altri lavori. Basti dire che nell’arco di tre stagioni abbiamo partecipato a due e a una Coppa Uefa. E solo questo riempie d’orgoglio."

Un’esperienza importante anche quella con il beach soccer.

"Una possibilità che mi è stata offerta quando ho smesso con il calcio. Essendo nato a Rimini, mi piace molto, fin da quando ero bambino, giocare sulla sabbia. Due anni a Forte dei Marmi, poi altri due come allenatore della nazionale, prima di passare al Terracina, dove si è anche chiusa la parentesi. Innanzitutto perché si trattava di un impegno limitato ai tre mesi estivi, e non dava quindi continuità lavorativa, e poi perché, nel frattempo, avevo preso il patentino di allenatore professionista nel calcio a undici."

Veniamo alla Roma di quest’anno e al confronto che l’attende con il “suo” Cesena.

"La Roma è uno squadrone. L’ho vista domenica scorsa: fino all’episodio del rigore ha fatto quel che voleva. E se fosse andata sul 2- 0 non ci sarebbe stato nulla da dire, perché la Sampdoria non esisteva. Poi, quello che è successo, a cominciare dall’infortunio di Mexes, ha cambiato radicalmente la partita. Peccato davvero per quei due errori di Juan. Torno a dire che, soprattutto davanti, è una squadra fortissima. Tonica a centrocampo e con un parco attaccanti che fa la differenza."

Secondo lei, può ancora puntare al titolo?

"Non lo dico io, perché credo ne siano convinti un po’ tutti. Se devo fare tre nomi dico Milan, Inter e Roma, per indicare quelle che, per qualità della rosa ed esperienza complessiva, possono vincere il campionato. Il Cesena? Deve salvarsi. Ha girato la boa a 19 punti, che vuol dire essere in media per restare in A. Ma nella sfida con la Roma non deve far conto sul pari strappato all’andata, quando ha battuto anche il Milan e, poi, la Lazio. Oggi è più difficile ripetersi. Questi confronto, a questo punto della stagione, con le squadre ormai rodate, sono altra cosa. Il Cesena farà la sua partita, come è solita fare in casa, dove esprime un buon gioco, anche se concretizza poco. Sulla carta, i giallorossi sono favoriti, ma nel calcio non si sa mai… Da tifoso del Cesena, ma anche da simpatizzante della Roma, mi augurerei un pari. Anche se so bene che il punto può star bene all’una, ma molto meno all’altra. Sono però sincero nel dire che vorrei che gioissero entrambe."