"Capisco Francesco: ci sono passato, piangevo tutti i giorni"

13/01/2011 09:52

IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - 
Quindici anni abbondanti in maglia giallorossa, indossata come una seconda pelle. Con l’idea, anzi il chiodo fisso di non doverla mai lasciare, di non volersene mai liberare. L’amore della gente il sentirsi felice dentro le mura di Trigoria, in tutta una à. Poi, in un attimo o quasi, finisce l’incantesimo. Arrivano i cattivi pensieri, l’insofferenza. La tristezza. Parliamo di ? Sì, anche. Ma pure di chi, queste sensazioni positive e negative, le ha vissute quindici anni fa. Parliamo anche di Peppe Giannini, al quale proprio a Marassi (17-2-’92, ), Ottavio Bianchi tolse addirittura la fascia di capitano. Giannini, altro numero 10 della Roma. Un capitano lasciato andar via a parametro zero nell’estate del 1996. «In quei momenti non facevo altro che piangere», ricorda Peppe, oggi allenatore a spasso, ma che studia e si documenta (è stato da Roberto Mancini, andrà da Arsen Wenger quanto prima). e Giannini, due vite parallele. Non identiche, ma simili. «Io avevo rotto con la proprietà ed ero fuori, non potevo fare niente. Non ho scelto di andare via, non potevo decidere diversamente». Nel 1996 Giannini era un indesiderato: andò in Austria, allo Sturm Graz, lontano da tutti. Poi, e Lecce per concludere anche da avversario della Roma.

rischia di finire come lei?


«Lui può ancora risollevare il tutto e ricominciare».

Dice di sentirsi triste.

«Lo capisco. L’ho già detto: io non facevo altro che piangere. Guardo e mi accorgo che ha perso entusiasmo, allegria. Si sente frenato. E’ triste, è vero. E quando sei triste...».

Triste e sopportato.

«E’ quanto di peggio ti possa capitare. Passi una vita al centro dell’attenzione, poi improvvisamente ti emarginano. E’ difficile allenarsi, giocare. Francesco deve ritrovare l’entusiasmo al più presto».

In più tanta gente adesso gli rinfaccia quello che guadagna.

«Un classico. E’ vero, guadagna tanto. Ma allora è pure vero che per tanti anni, visto quello che faceva in campo e non solo, guadagnava poco. I soldi sono un falso problema. Pensino a quanti ne ha fatti guadagnare alla Roma».

Come ci si sente a non sentirsi più tanto amato dalla gente?

«Dispiace. Ma non deve farci caso. Basta poco per rifar cambiare idea a tutti».

Andiamo ai quattro minuti di Genova.

«Si è comportato da professionista serio. Io difficilmente sarei entrato. Dipende da quanto ero arrabbiato per l’esclusione. Lui forse lo era poco, s’è comportato in maniera perfetta».

Da allenatore lo avrebbe fatto entrare così tardi?

«Uno come Francesco? No. Ma, chissà, magari Ranieri ha pensato che con una punizione, con una giocata poteva far gol. Forse in questo momento è troppo sotto pressione e certe scelte diventano un boomerang. Sono convinto che Ranieri se ne sia reso conto. Non è uno stupido. E non va dimenticato quello che ha fatto in questo anno».

Il giorno prima aveva detto che faceva parte del suo progetto: poi la panchine e i quattro minuti...

«Ecco, magari Francesco si è sentito preso in giro».

Ranieri ha detto che pensava mancasse di più tempo alla fine.

«A Genova ci sono pure i tabelloni... E comunque si è comportato da grande capitano nei fatti e il giorno dopo a parole. Dentro la maglia c’è sempre un uomo. Un uomo poi tifoso della Roma, è normale che ci stia male».

Che deve fare secondo lei?

«Non mollare, deve restare a Roma. Mai pensare di andare via. Tanti calciatori possono ancora imparare da lui, che ha reso grandi parecchi allenatori». 

Domanda all’allenatore Giannini: lei come gestirebbe il fine carriera di un campione?

«Cosa principale: parlare chiaro. La sincerità prima di tutto. E non è a fine carriera, ha molto da dare».

, dunque, non è un giocatore finito?

«Non scherziamo. Ho visto Roma-Catania, ha toccato tre palloni, ha fatto fare due gol e uno lo stava per fare lui. Poco?».