L'arabo non c'è. I tappetari sì

03/02/2011 10:29

La Roma continua come se nulla fosse ad essere ammessa alle contrattazioni di borsa. Nessuno l'ha sospesa dal listino di piazza Affari. Nessuno degli azionisti ha avuto il buon senso e il buon gusto di chiederne la sospensione, nonostante ne avesse annunciata la vendita e avesse indetto una sorta di asta. O forse quella che si vuol far passare per un'asta. I risultati sono evidenti: il titolo della Roma era al massimo di 1,285 esattamente lunedì primo febbraio (voci sulle tre offerte, arabi compresi). È precipitato a 1,02 ieri pomeriggio, dopo la smentita ufficiale giunta dal Golfo Persico. Ha insomma guadagnato e perso il 20 per cento nell'arco di due sedute. Non sappiamo chi abbia voglia di «investire» su una squadra di calcio, che si chiami Roma, Lazio o , o anche Manchester United. Ma le autorità di vigilanza che ci stanno a fare? E l'azionista stesso, cioè l'Unicredit, che di borsa se ne intende? Del resto i precedenti non mancano, visto che la Roma è sull'ottovolante da anni. Qualche esempio. Aprile 2008: voci su George Soros nonché su Mohamed al-Maktoum, sceicco del Dubai. Le azioni ovviamente volano, salvo schiantarsi subito dopo. Giugno 2009: «Roma vicina» alla cordata svizzero-tedesca di Vinicio Fioranelli. Altro decollo in stile F-16 del titolo giallorosso; altro atterraggio non proprio morbido.

Per inciso Fioranelli, ex agente Fifa, è appena finito in manette. Luglio 2010: la famiglia Sensi inizia le trattative con Unicredit e le azioni riprendono quota. La domanda e semplice, perfino ingenua: chi ci guadagna? Perché che qualcuno ci guadagni è evidente, visto anche il bassissimo flottante della società. Nel frattempo continuano a sprecarsi le voci. Una di queste dice addirittura che l'ipotesi Abu Dhabi sarebbe stata accreditata ad arte (da chi?) per far scappare gli americani di DiBenedetto e pilotare la vendita in direzione Angelucci, il quale a sua volta sarebbe gradito ai poteri forti capitolini. Ipotesi peraltro contraddetta dall'incontro a New York tra gli offerenti americani ed i venditori di Unicredit, summit nel quale sarebbero stati a punto sia una spartizione di quote sia un piano industriale di rilancio. Di sicura c'è una considerazione: se questi magheggi potevano non stupire e venivano guardati con sussiego quando la Roma era dei Sensi, che dire ora che è in mano al gotha finanziario milanese? O forse quel gotha non ha tutti i quarti di nobiltà?