As Roma nel pallone americano Pallotta (Celtics) con DiBenedetto

15/04/2011 13:20



In un incontro a Boston sono presenti insieme agli inviati diUnicredit, Fiorentino e Peluso, il professor Zimatore, presidente della holding di controllo della società giallorossa. C’è grande attesa e curiosità per un passaggio di consegne che entrerà nella storia del calcio italiano, dato che mai prima d’ora, a parte il piccolo precedente del Vicenza calcio appartenuto per un periodo agli inglesi della Enic, un top team è stato gestito da stranieri. Decisivo per sgombrare il campo agli ultimi dubbi il contatto tra Fiorentino e quello che appare il socio forte della cordata americana, cioè James Pallotta, leggenda degli hedge fund e comproprietario dei Boston Celtics, che ha garantito personalmente il proprio impegno per le future ricapitalizzazioni necessarie al club giallorosso per restare ai vertici italiani ed europei.



La spedizione italiana a Boston è stata invitata a vedere la partita tra i Celtics di Pallotta vincitori mercoledì sui Knicks 112-102. In attesa della fumata bianca, anche se in questa vicenda è d’obbligomantenere una certa cautela visti i precedenti.



Un ribaltone tuttavia appare improbabile, vista anche la crisi ormai certificata del calcio italiano. In pochi anni, la competitività delle nostre squadre di club è caduta a picco, il ranking Uefa ci ha visti superati dalla rampante Germania, mentre Spagna e Inghilterra sono ormai irraggiungibili. Anche gli inamovibili dirigenti di Lega Calcio e Figc, già scottati dal naufragio della spedizione mondiale in Sudafrica, hanno cominciato a capire che è ora di allentare la linea Maginot allestita per respingere gli investitori esteri. Pronti a portare capitali ed idee ma anche, magari, a scardinare i rapporti di forze tra le società (ultimoindizio, il benvenuto di Galliani e Berlusconi ai successori di Rosella Sensi).



Non è certo un caso che proprio la Roma, sparring partner in questi ultimi anni di dominio interista, ma anche eterna seconda degli ultimi scudetti targati Milan e pre Calciopoli, sia stata oggetto di mire da parte di molti gruppi stranieri che poi non sono riusciti a portare a termine l’acquisizione.

Seguendo le tappe di questo interminabile passaggio di proprietà si può capire quanto l’intreccio tra politica, finanza ed affari possa aver condizionato il sistema-calcio in Italia negli ultimi anni. Lo stillicidio inizia nel 2004 quando a comprare la Roma ci prova Souleiman Kerimov, magnate russo amico di Roman Abramovic.

Il titolare della Nafta Moskva si volatilizza però ad un passo dalla firma, chi dice spaventato da un improvvido blitz della Finanza nelle sedi delle società di calcio, chi dai rilanci fuori mercato di un Franco Sensi già alla canna del gas.

Quattro anni dopo, nell’aprile del 2008, bussa alla porta di Trigoria la Inner Circe Sport col piano ambizioso di allestire un «instant team», cioè una squadra capace di vincere subito la l’anno successivo, quando la finale si sarebbe giocata allo stadio Olimpico. Per farlo ha il finanziatore più importante che si possa sognare: George Soros, uno degli uomini più potenti della terra. Dopo mesi di trattative il prezzo viene fissato nella faraonica cifra di 283 milioni di euro, ma sul più bello Rosella Sensi, a capo della società viste le precarie condizioni di salute del padre Franco, rifiuta. Ai rappresentanti della ICS viene millantata una fantomatica offerta araba, forse sperando in un rilancio che possa azzerare i debiti della holding di famiglia nei confronti delle banche, forse per allontanare chi avrebbe rovesciato i consolidati equilibri del calcio italiano. I cattivi pensieri dei tifosi sono alimentati dalla pervicacia con il quale l’interesse del magnate di origine ungherese, ritiratosi di fronte al rilancio della Sensi, viene negato anche di fronte a dichiarazioni ufficiali sollecitate dalla Consob.



Per mesi si cerca di far passare la teoria che la Roma non la voglia nessuno, i tifosi devono ingoiare l’autofinanziamento e i parametri zero, la banca mettersi l’anima in pace. A fronte delle insistenze dell’allora amministratore delegato Profumo, poco propenso ad ascoltare le voci di Palazzo Chigi e dintorni, la Sensi tratta per mesi con un semplice agente Fifa, Vinicio Fioranelli, respingendo al mittente l’interesse pubblico ad entrare in società con l’imprenditore farmaceutico Francesco Angelini. Quando le garanzie del denaro millantato da Fioranelli vengono a mancare, un altro anno è trascorso e la Roma è ancora in mano ad una Sensi ormai oberata dai debiti e con una banca non più disposta ad avallare piani di rientro puntualmente disattesi.

Nel luglio 2010 la svolta tanto attesa: Unicredit azzera i debiti della famiglia Sensi e prende tutta Italpetroli, Roma compresa. Guarda caso, appena il pallino passa nelle mani di Piazza Cordusio, il processo di vendita si innesca davvero e con la garanzia di un advisor internazionale come Rothschild viene individuata l’offertamigliore: quella del pool a stelle e strisce capitanato da DiBenedetto.



L’imprenditore di Boston, con una quota dei leggendari Red Sox, è il capofila di un consorzio che vede tra le sue fila l’immobiliarista Michael Ruane, il finanziere Richard D’Amore e soprattutto il già citato Pallotta. Proprio Pallotta è stato il primo ad interessarsi alla Roma dopo il fallimento della trattativa con George Soros, forse per riuscire lì dove uno dei più grandi speculatori del mondo ha fallito.Non è casuale che Pallotta e soci abbiano convinto Unicredit e l’advisor Rothschild grazie ad un piano di sviluppo che si basa su quello commissionato dalla ICS nel 2008 e sposato da Soros e che punta a rendere l’AS Roma una media company, con importanti investimenti nel campo del marketing e del merchandising, oltre che a prevedere la costruzione di uno stadio di proprietà.