Le sorelle di Pallotta: "James is the best, fidatevi di lui"

16/04/2011 13:30

Ma già qualche minuto prima fuori all’ingresso di North Washington Street c’è una bella fila. Almeno una trentina di persone che non vedono l’ora di entrare. Alcuni sono tifosi dei Bruins, altre sono persone normali che con l’Hockey non c’entrano nulla. Nel giro di pochi minuti il locale è già pieno. Segno che la cucina delle sorelle Pallotta piace e pure tanto, segno che sanno far funzionare il locale. E subito la mente va alla Roma. Se loro fratello sarà in grado di farla funzionare come Carla e Christine hanno fatto con il Nebo, per i tifosi giallorossi ci sarà da divertirsi. All’ingesso mi riceve Carla, vestita con un elegante abito nero. Tempo di presentarsi e subito mi porta a conoscere Christine, che arriva vestita da perfetto Chef. Solari, allegre, cortesi, quando gli dico che vengo da Ro a mettono da parte tutto e lasciano fare ai camerieri che continuano a sfrecciare su e giù mentre loro si dedicano a me. Non faccio mistero del fatto che l’interesse per il locale è nato dal fatto che da settimane si parla della possibilità che suo fratello prenda la Roma. E loro non hanno difficoltà a parlare di lui: «James is a gentleman, he is the best. Davvero, non si può dire nulla di negativo su di lui». Dalle loro parole traspare l’amore per il fratello, per la famiglia. Nei loro modi, nella loro allegria si respira l’aria dell’Italia. Quella che la famiglia Pallotta ha lasciato (come tanti in quel periodo) agli inizi del novecento. «Nostro nonno paterno partì da Poggio Nativo nel 1915 o giù di lì – dice Carla -. Mentre la famiglia di mia madre di cognome fa Di Giacomo. Sono originari di Canosa, in Puglia. Nostro nonno paterno faceva il tagliatore di alberi nel Maine. Hai presente quelli che abbattono i tronchi e li fanno viaggiare nei fiumi?». Quando parla della famiglia, a Carla si illuminano gli occ i, così come quando sente parlare italiano: «Il mio nome con il vostro accento fa un effetto strano, è bello». Carla parla bene la nostra lingua, Christine è più riservata ma anche lei capisce bene l’italiano. Merito delle origini, ma anche di tanti viaggi nello Stivale: «Roma è il posto più bello del mondo, ma ci piacciono tanto anche Positano e la Puglia». Quella dello origini, che ispira la loro cucina: «Facciamo le orecchiette, abbiamo la burrata. E poi salumi e formaggi tipici. Alla gente piace molto, ci sono persone che vengono qui anche 4 o 5 giorni di seguito perché magari sono a Boston per vedere una serie di partite al Garden». Il ristorante per loro è un sogno che si è realizzato: «Prima dell’apertura del Nebo non eravamo mai state nel settore» spiega Carla. Christine la interrompe subito: «Sì ma l’ho sempre saputo che un giorno o l’altro avrei aperto un ristorante. Era il nostro sogno quello di mettere in pratica le conoscenze tramandate dalla nostra famiglia».

E prima? «Prima avevamo un salone di air Style, un attività durata 23 anni. Il loro ristorante è elegante ma non freddo: «Questo è il North End – mi spiegano – il quartiere italiano. Che a sua volta è diviso in zone più “romane” o del sud e altre con locali in stile “milanese”. Il nostro ha uno stile come uno di questi ultimi, ma non è formale». Gli chiedono se gli danno fastidio le orde di tifosi che arrivano da loro vestiti di giallo e nero dei Bruins. «Assolutamente no. Ripetiamo, non è un ristorante formale, ha semplicemente un suo stile». E’ vero, hanno ragione, anche qui ci si sente a casa. A proposito di tifosi, Carla mi confessa che ieri è stata una giornata pazzesca perché l’hanno contattata più di 500 persone su : «Mi hanno chiesto l’amicizia, tutta gente dall’Italia che ci diceva “forza Roma” e che faceva il tifo per noi, evidentemente qualcuno in Italia ha scritto che abbiamo un ristorante e che siamo le sorelle di James». Arrossisco e confesso loro che la colpa è anche mia e che Il Romanistaè stato tra i primi a scrivere qu sta cosa. Loro però non sembrano affatto seccate, anzi, il contrario: «Capiamo la vostra follia per il calcio, noi siamo “toc toc” (fa cenno con la mano di bussare sulla sua testa) pazzi per i Celtics. Queste manifestazioni d’affetto non ci danno fastidio. Al contrario ci rendono orgogliose. Siamo felici che gli italiani tengano tanto a noi. Nostro padre sarebbe stato veramente orgoglioso. Lui è morto un anno fa, era nato in America ma amava l’Italia. Pensa che prima di andarsene ha voluto portare un nipote in Italia per fargli conoscere le sue origini». Sì, gli italiani sono pazzi per il calcio e i romanisti sono ancora più pazzi per la Roma. Gli spiego che i tifosi giallorossi hanno una voglia matta di vincere qualcosa e che contano tanto su loro fratello: «Voi avete sempre fretta». E perché è da tanto che non vinciamo qualcosa di grande. «È dal 2001 – interviene Carla che evidentemente tanto all’oscuro delle cose della Roma non è -. Tutto il quartiere ama il calcio, ci sono i bambini per strada che danno calci al pallone, si vedono le partite. Il nostro quartiere vive il calcio».

E James? «Con James non parliamo mai di affari. Questo vale sempre e non solo in questo caso. Per noi lui non è un uomo d’affari, è semplicemente nostro fratello, è la famiglia. Parliamo di cose di famiglia». Una famiglia che prima del calcio ama il basket e i Celtics. Che a pochi passi da lì hanno un museo pazzesco che fa emozionare anche chi non è tifoso. In maniera sfacciata dico a Carla e Christine di riferire al fratello di fare al più presto un museo del genere anche a Roma. «Glielo diremo appena lo sentiamo » replicano loro. Ma insomma dobbiamo essere fiduciosi? «Certo – concludono loro -. Fidatevi di lui. E Forza Roma!».