27/05/2011 11:05
Maniacale e perfezionista in ogni aspetto della vita, piuttosto spiccio in quanto a carattere, votato a un calcio aggressivo e spettacolare, Luis Enrique pare aver già rifiutato, nell'ordine, le allettanti proposte di un Atletico Madrid in piena ricostruzione, dello Sporting Gijón, squadra della sua terra e del debutto in Liga, oltre che quelle di Valencia e Siviglia. Il sogno neanche troppo nascosto dell'ex di Real e Barça e quello di allenare, prima o poi, proprio la prima squadra blaugrana.
In attesa che l'ex compagno Guardiola si faccia da parte, Lucho ha bisogno di un progetto ambizioso e di una esperienza che possa fargli fare un ulteriore salto di qualità, anche a livello internazionale, che pare coincidere alla perfezione con la fisionomia della nuova Roma degli americani. Andiamo alla scoperta del tecnico più corteggiato di Spagna.
Da centravanti esplode nel Gijón Ha segnato 102 gol nella Liga
Classe 1970, asturiano di Gijón, Luis Enrique, come calciatore è stato il classico todocampista, come in Spagna amano definire gli atleti polivalenti, capaci ad adattarsi a più di un ruolo. Esploso come centravanti nelle fila dello Sporting, si guadagna le attenzioni del Real dopo aver trascinato la squadra della sua città a una storica qualificazione in Coppa Uefa, nella stagione 1990- 1991, nella quale mette a segno 14 reti, l'ultima e decisiva al «Mestalla» di Valencia. La prima stagione a Madrid, in cui viene impiegato come terzino sinistro e mezzala, è piuttosto deludente, ma si rifà in estate, conquistando l'oro olimpico a Barcellona. Agli ordini, prima di Benito Floro, poi di Jorge Valdano, con cui vince la prima Liga della carriera, Lucho torna alle travolgenti prestazioni degli esordi.
Generoso, instancabile, dotato di buona tecnica e di istinto da goleador, entra indelebilmente nell'immaginario collettivo spagnolo nel luglio del 1994, quando, con il naso rotto e la camiseta macchiata di sangue, per una gomitata in piena area di Mauro Tassotti, diviene il simbolo della dolorosa resa spagnola, ai Mondiali statunitensi, per mano degli azzurri. La seconda giovinezza calcistica di Luis Enrique ha inizio due anni dopo, a seguito del suo trasferimento agli acerrimi nemici del Barça. Scelta contestata quanto azzeccata, visto che i blaugrana, guidati da Sir Bobby Robson, coadiuvato dallo stratega e traduttore José Mourinho, conquistano Supercoppa di Spagna, Coppa del Re e Coppa delle Coppe. L'anno seguente arriva Van Gaal insieme al primo scudetto catalano per Luis Enrique che, libero di svariare a centrocampo, mette insieme un bottino di 18 gol.
L'olimpionico Lucho appende le scarpe al chiodo, nel 2004, già in piena epoca Rijkaard, con un ricco palmares, che, tra i vari titoli, comprende tre scudetti e tre coppe del Re, e un bottino goleador liguero di 102 reti, oltre al patrimonio di una stretta amicizia con Pep Guardiola, con cui condivide lo spogliatoio per 5 anni.
Van Gaal e Rexach i suoi maestri E seguace della scuola blaugrana
Dal 18 giugno del 2008, Luis Enrique guida il Barça Atletic, tornato a chiamarsi ufficialmente Barça B, per sottolineare l'indissolubile legame con la prima squadra, dall'arrivo del nuovo presidente Sandro Rosell. La brillante idea di affidare el filial all'asturiano, però, è stata dell'antecessore Joan Laporta, consigliato, a quanto pare, niente meno che da Guardiola, che negli stessi giorni rilevava Frankie Rijkaard. Anche per questo, molti considerano Lucho un allievo di Pep, anche se l'anagrafe svela che l'ex di Brescia e Roma sia più giovane di otto mesi.
A differenza del buon amico, Luis Enrique non è un prodotto della celebre cantera blaugrana, ma si è formato in squadre minori della nativa Asturia, prima di raggiungere il grande calcio, a 18 anni, con l'approdo allo Sporting. Non può considerarsi, quindi, un vero allievo di Johan Cruyff, l'uomo della svolta barcellonese che, a partire dal 1988, ha imposto la filosofia del possesso palla e del calcio offensivo, dai ragazzini di otto anni fino alla prima squadra, perfezionata poi dallo stesso Guardiola. L'asturiano, però, ha potuto apprendere molto dai successori Bobby Robson, Louis Van Gaal e, soprattutto, da Charlie Rexach, il più fedele adepto dell'olandese volante.
Convinto assertore dell'ormai tradizionale 4- 3- 3 blaugrana, Lucho in un primo tempo aveva pensato a un progetto biennale, ma dopo aver raggiunto una promozione in seconda divisione, attesa 14 anni, ha deciso di rimanere un anno in più, per consolidare il progetto. Scommessa vinta, con la storica qualificazione ai play off per la promozione in Primera, che la squadra non potrà disputare per questioni regolamentari, visto che due compagini dello stesso club non possono militare nello stesso torneo. Paladino di un calcio aggressivo e spettacolare, Luis Enrique ha rivestito un ruolo determinante nella definitiva esplosione di giocatori come Pedro e Thiago Alcantara, figlio dell'ex Lecce e Fiorentina Mazinho.
Ama surf, maratone e triathlon E le maglie per beneficenza...
E sufficiente accennare il nome di Luis Enrique per far sbiancare i cronisti sportivi catalani. Allergico a telecamere e microfoni, Lucho finora ha declinato, con una certa energia, qualsiasi invito a confidarsi con i reporter. In questo senso, assomiglia molto all'amico Pep Guardiola, che si concede solo agli appuntamenti comandati della conferenza stampa della vigilia e del postpartita, con la differenza che l'asturiano non ha la compiacenza di accompagnare il diniego con la proverbiale cortesia del collega catalano.
Si aspettano tempi duri per gli appassionati giornalisti della capitale, abituati, ultimamente a tecnici ben più mansueti. Che fosse difficile localizzare Luis Enrique lo si era capito già, al momento dell'addio al calcio, quando fece perdere letteralmente le sue tracce. Dopo qualche tempo si scoprì che si era rifugiato con tutta la famiglia in Australia, per concedersi un anno sabbatico da dedicare alla vecchia passione del surf, sport prediletto da gran parte dei ragazzini delle Asturie.
Nel 2005, Lucho è, poi, ricomparso improvvisamente sulle vie di Manhattan, dove ha preso parte alla maratona di New York. Instancabile, asciutto come ai tempi dell'attività agonistica, si è presentato in più di una occasione ai nastri di partenza anche in diverse gare di triathlon. Nonostante il carattere un po' burbero, l'attuale tecnico del Barça B ha partecipato a più di un'iniziativa benefica. Ultimamente non ha esitato un attimo a mettere all'asta alcuni dei suoi più preziosi cimeli a favore dell'associazione Anima, che si occupa del recupero estetico dei pazienti sottoposti a terapie invasive, per estirpare un cancro.
Tra le maglie raccolte nel corso dell'intera carriera, figuravano anche quelle di Pessotto, Di Livio, Ballack e dell'ex compagno Puyol. Padre di tre figli, ha già fatto sapere che prima della nuova firma si concederà un po' di tempo da trascorrere con l'ultimogenito, di solo un anno, che non ha potuto frequentare quanto avrebbe voluto a causa della sua maniacale applicazione al lavoro.