A 12 anni innamorò la Spagna, a 19 vuole conquistare il mondo

07/07/2011 10:34



Mostrò cose sublimi con il suo sinistro, fece vincere i Millonaros e si aggiudicò il Premio Fair Play. Erik Lamela, per tutti “Coco”, non immaginava minimamente cosa si sarebbe scatenato intorno alla sua classe, ancora così acerba, ancora così ingenua. Provò a portarselo a casa il Siviglia, ma durò poco, perché alla porta di papà Josè, ex calciatore di serie C e ora gestore di un centro sportivo fuori Buenos Aires, si presentarono i dirigenti del . Non era ancora la squadra più forte del mondo, non ancora la Fabbrica dei Sogni diretta da Guardiola e gestita con maestria da
, Xavi, Iniesta e Dani Alves. Era un’officina laboriosa, che coltivava i suoi campioni e lasciava aperti gli ingressi a chiunque mostrasse quella scintilla giusta per prendere parte ad un progetto ambizioso e vincente.

È per questo che Laporta fece prenotare cinque biglietti aerei per la Costa Brava e per un paio di giorni si coccolò Erik nel grandioso centro sportivo vicino al Camp Nou, parlando a Lamela senior di sponsor e della scuola per i figli (oltre ad Erik, anche Brian e Axel), di prospettive future, di contratti. Avrebbe pagato al biondino tanto simile a Caniggia uno stipendio quasi da grande: diecimila euro al mese. Molto più del minimo sindacale in Italia, molto più di quanto chiese di avere Damiano Tommasi, nella sua ultima stagione di Roma, dopo il tremendo infortunio al ginocchio. Erik Lamela, nel 2004, non era nessuno. Era uno scricciolo innamorato del pallone, bravissimo a fare gol, un po’ egoista coi compagni ma già bravissimo. A lui della Nike pronta a dargli altri 8mila euro all’anno per farsi ricoprire di “baffi” importava poco. Più che altro, rimase impressionato da Ronaldinho, che col suo sorrisone da coniglio pasquale lo abbracciò e si fece immortalare insieme a lui, un ragazzino passato per caso a fare un giro.



Per un turista qualsiasi, il tour del Camp Nou costa 11 euro, vedi quasi tutto ma non arrivi a toccare l’erba del campo. Ad Erik lo fanno giocare con il blaugrana addosso, gli offrono un futuro nella bambagia e un’istruzione sicura, e se va male almeno si è portato a casa una foto con il più forte fantasista di quegli anni.
Alla fine sarà così; Josè Maria Aguilar, presidente senza freni né sale in zucca di quel River Plate, scoprì il tentativo catalano leggendo un giornale argentino, si appellò alla Fifa e chiamò i signori Lamela: «Tornate a Buenos Aires, ve la faccio io un’offerta per lasciare Erik qui da noi». Il non vorrebbe, sono già pronte le stanze d’albergo, per far stare ancora vicino al talentino dodicenne la sua numerosa famiglia. Ma incombe, appunto, la Fifa e il rischio di un’accusa per «pirateria minorile», come grida Aguilar. In quei giorni di ottobre di sette anni fa, dunque, Lamela diventò finalmente qualcuno. Il ragazzino biondo dal sinistro fatato che volevano al , ma che al non andò. Il papà, con l’amaro in bocca, accettò la proposta del presidente del River: un contratto meno dorato, ma il 50% da corrispondere ai coniugi Lamela qualora fosse stato ceduto in futuro.

Il futuro è oggi, con ancora una volta Josè Lamela protagonista, accordatosi – insieme all’agenzia che cura gli interessi del 19enne - con per il trasferimento del figlio; con Daniel Passarella, successore sfortunato di Aguilar, poiché impegnato a tappare i buchi finanziari lasciati dal predecessore, in Italia per vendere il suo gioiello più splendente: 12 milioni più bonus la cifra su cui tutti sono d’accordo. Sei milioni di euro che puliti puliti finiranno nelle tasche della famiglia del trequartista, che quest’anno ha vissuto la prima, inattesa, grande tragedia sportiva nella storia del River: la retrocessione in seconda divisione. Un trauma psicologico mai conosciuto in 110 anni di esistenza, condito da rigori sbagliati e scontri tra tifosi e polizia.



Ora Erik saluta l’Argentina e il Sudamerica, il suo è un sacrificio necessario, ci sono 8 milioni di stipendi da pagare e con il suo doloroso addio, farà in modo che molti altri ex compagni rimangano in squadra almeno per un altro anno. Il dodicenne tutto ossa dai capelli lunghi ha lasciato spazio a un giocatore poco più che adolescente dai capelli corti e castani, la testa piena di sogni e la voglia di sfondare: «La Russia? No, grazie», ha risposto qualche giorno fa quando si sono fatti avanti per lui. Troppo fredda, troppo brulla, troppo diversa da casa sua. Niente Milan, né Inter, né : su di lui le mani di si sono posate con più anticipo, decisione e convinzione. Se non ci saranno colpi di scena, Erik Lamela sarà un giocatore della nuova Roma di Luis Enrique e il suo approdo a Trigoria ha già uno sponsor d’eccellenza come Nicolas Burdisso: «Deve crescere, è una scommessa da fare».