18/07/2011 10:53
Rientra dallesilio?
«Sono andato via perché dopo quello che ho detto su Moggi non aveva più senso restare in Italia, né cerano più le condizioni di lavoro. Troppi conflitti dinteresse, troppo impicci, tra sistemi di credito, persone, istituzioni. Si ama e si smette di amare. Io quel calcio non lamavo più, non ci riuscivo. Per un po sono andato in Sudafrica a vendere caffè. Però ora devo fare ammenda».
Su qualcuno?
«Su Gabriele Oriali, che è rimasto coinvolto e ha patteggiato, come dirigente dellInter, nello scandalo dei passaporti falsi sul dossier Recoba. Ha detto la verità, nel senso che mi chiese un consiglio, io gli dissi che sapevo che cera una persona, che però non conoscevo, che si occupava di vedere se le carte erano in regola. Poi questa persona non si è rivelata a posto. Oriali non lo sapeva, nemmeno io. Lui ha molto sofferto per la macchia e mi dispiace ».
In sei anni poco è cambiato, lo sport è retto sempre dagli stessi uomini.
«Ma io devo pensare che il clima è diverso. Devo fare come gli inglesi: non si chiedono come sia il tempo, escono e basta. Danno per certe la pioggia, le nuvole, unombrosità permanente, però non rinunciano a fare le cose. Ho vissuto e lavorato in Spagna e in Inghilterra, dove il calcio è una cosa seria, ma diverte. Dove allo stadio si festeggia, non ci si sfoga, né ci si abbrutisce. E mi chiedo, chissà forse è possibile anche in Italia. Questa è lultima possibilità che ho di non restare indifferente ».
E quindi?
«Niente polizia negli stadi, niente tessera del tifoso, nessuna tribuna lontana. Non voglio vedere agenti in assetto di guerra, ma steward, perché è chiaro che una certa coreografia, caschi e manganelli, suggerisce che il conflitto è una certezza più che uneventualità. La forma conta come il contenuto. Voglio uno stadio con parcheggi, servizi, buoni mezzi di trasporto pubblici, non carovane da Far West. Voglio che le famiglie non si debbano preparare settimane prima alla partita, ma abbiano la possibilità di andare allo stadio sane e salve in tempi rapidi. E godere e gioire del gioco, non spaventarsi per il pericolo».
Addio Olimpico?
«Sì. Ci vorrà tempo, inizieremo un percorso, sono già stati fatti progetti. Ma basta con il calcio discusso inutilmente per tutta la settimana e vissuto da bestie nei 90 minuti che contano. Roma
città rappresenta un grande nome nel mondo, così come la sua squadra, ma bisogna sprovincializzarsi ».
Nuova filosofia?
«No, per carità. Non porto rivoluzioni, solo buonsenso e pragmatismo. Allestero queste cose si sono già fatte, perché da noi no? Io aspiro alla normalità, non aleccezionalità. Vorrei un sistema dove la legalità è rispettata, e dove losservanza delle regole non sia giudicata una diversità. Conosco i giocatori, sono bestie che fiutano, molto sensibili a chi è estraneo a loro, per fidarsi hanno bisogno di sentire che tu fai parte dello stesso ambiente. Non amano i guru».
Quindi?
«Quindi a Trigoria la Primavera si allenerà accanto e allo stesso orario della prima squadra, per far capire che il salto a titolare non impossibile. Abbiamo una squadra giovane, giocarci per i ragazzi non deve significare sfatare un tabù, ma vedere premiato un impegno. Il calcio va svecchiato anche in questo, i nostri acquisti sono sotto i 22 anni, fare entrare aria nuova non è male, invece di affidarsi allusato. La Roma non intende ricorrere per chiedere riduzioni di squalifiche, anzi sarà la prima a mettere fuori squadra i giocatori che si macchieranno di brutti falli e di comportamenti scorretti, anche non visti. Basta cercare scuse».
Un codice etico?
«Voglio fare le cose, non annunciarle, né parlarne. So che Roma è caotica, disordinata, selvaggia,
che mi faranno pagare tutto, e a lungo ho sperato che gli americani non mi prendessero. Ho dipinto me stesso e lItalia come esseri inconciliabili, ho detto loro come e perché si sbagliavano a scegliermi, anche se con loro cè stato subito feeling, mi ha sorpreso la fiducia nella mia autorevolezza, e quindi mi sono detto che avevo tre possibilità: andare via, starci dentro in maniera conformista, accettare e provare a cambiare. Per questo appena ho incontrato Luis Enrique gli ho chiesto come intendeva comportarsi con gli arbitri».
Risposta?
«Fare come non ci fossero, non nominarli mai».
E lei si è fidato?
«Ho insistito, non è che dici così e a fine partita aggiungi in attesa di vedere la moviola? Lui mi ha rassicurato. Normalità significa questo: non dare sempre colpa agli altri, non cercare giustificazioni, non crearsi alibi».
Lei lavora da tempo con Capello, allenatore esperto e concreto. Ma ha scelto Enrique che è una scommessa.
«Cercavo qualcuno estraneo al calcio italiano. Incontaminato. Mi è piaciuta la sua sfrontatezza, di gioco e di carattere. E molto motivato, cerca il gol. Ci siamo ritrovati anche a parlare di libri: Il cammino di Santiago di Paulo Coelho. Non è tra i miei scrittori preferiti, ma io senza leggere, soprattutto nei viaggi, non so stare».
Anche con il tecnico portoghese Villas Boas ha parlato di letteratura?
«Siamo andati a cena, non so chi ha accennato alla frase To be or no to be: that is the question». Io ho proseguito con Whether tis nobler in the mind to suffer e lui lha completata con The slings and arrows of outrageous fortune».
Puri shakesperiani.
«Diciamo che lavevo appena letto in originale. E comunque ho subito sentito una simpatia, ma Villas Boas costava troppo».
La Roma in Lega sui diritti tv si è allineata con Juve, Milan, Inter.
«Io sono per la vendita collettiva dei diritti tv. Dove avviene, come in Germania, al vertice cè ricambio. Invece in Spagna la lotta si riduce a due: se non è Real è Barcellona. Il dramma del nostro calcio è che pur guadagnando e non essendo uno sport minore, si è impoverito. Non ha saputo gestire
la sua ricchezza, e ora con la crisi è sempre più in crisi. E in ritardo anche sulle soluzioni».
Per la verità anche sulle polemiche
«Ho conosciuto Facchetti, una buona e grandissima persona. Ma la morte non abbuona certi comportamenti. Credo che dal paradiso può evitare di guardare lo squallore qui sotto».
Per 18 anni la Roma è appartenuta a una famiglia, ora va un gruppo che parla di brand.
«E un gruppo che ha spessore, ha studiato ad Harvard, vuole investire, non arraffare. Roma e la Roma sono un marchio importante, cè bisogno di trovare un respiro internazionale, una nuova dimensione per il marketing. In questo settore allestero fanno ricavi, perché da noi no?».
Il Manchester City ha appena firmato un nuovo contratto di sponsorizzazione per lo stadio: 170 milioni di euro per 15 anni di esclusiva. Gli arabi investono in tutto il mondo, ma non Italia.
«Perché dovrebbero? Burocrazia enorme, poca certezza di legalità, confusione enorme su quello che si può e non si può fare, noi non diamo mai risposte, solo incertezze».
Non siete in troppi alla Roma: tra nuovi e vecchi? Lei, Fenucci, Sabatini e poi Conti e Mazzoleni, visto che Pradé se nè appena andato?
«Andranno ripensate mansioni e qualifiche. Come anche nel settore medico . Ripeto: non cerco stravaganze, ma normalità. La Roma deve prendere possesso di sé. Gli americani hanno un progetto sensato, non a breve termine, hanno affetto per le loro radici, anche se non parlano italiano, DiBenedetto prenderà casa a Roma. Non sarà tutto facile, né tutto presto».
Totti a 35 anni è un totem?
«Totti ha davanti ancora 4-5 anni di carriera. Se saprà guardare solo al calcio e non farsi carico di altro. Ma deve liberarsi della sua pigrizia e di chi usa il suo nome, anche a sua insaputa. Deve smettere di lasciare fare, più leggero sarà, più lontano andrà con il pallone».
Lei ha un doppio incarico: con la nazionale inglese e con la Roma.
«Lo so che sembra assurdo, ma io con la Roma non ho ancora firmato niente. E appena partirà il contratto, il mio ruolo di direttore sportivo nella Fa diverrà solo una consulenza gratuita fino alla fine di Euro 2012. Tutto è chiaro e amichevole».
Deve in questi ultimi anni qualcosa a qualcuno?
«Forse ad Adriano Sofri, che ho conosciuto nel carcere a Pisa, dove ero stato invitato dalluniversità. Mi è servito per riflettere, per capire i miei limiti, ma anche ad essere meno indulgente con me stesso. Si può lavorare sui propri difetti, non credere che tutto sia inevitabile. Non cè nulla di non dignitoso nella sconfitta, ma cè nel non accettarla. Me lo sento, il viaggio a Roma sarà pericoloso. Mio padre me lo dice sempre: dove girano le pedate tu ci metti sempre il sedere».