Viviani, sogno di mezz’estate

05/08/2011 10:14

Questi i primi fotogrammi del racconto che Viviani faceva di quella notte quando tornava a parlare con gli amici di Grotte di Castro alla vigilia della partenza per Riscone di quel 12 giugno a Pistoia in cui la Primavera si è presa uno scudetto che al 90’ sembrava sfumato. La notte perfetta raccontata prima di partire per l’avventura perfetta, il viaggio al r torno dal quale niente sarebbe più stato come prima: «Magari riesco a convincere Luis Enrique, non si sa mai...». L’aveva buttata lì quasi per scherzo questa frase, del resto per le strade del paese al confine fra Lazio e Toscana in cui è cresciuto c’era ancora aria di vacanza e le sue giornate si dividevano fra il lago e qualche partita con gli amici. Federico ancora non poteva saperlo, ma sarebbe riuscito a convincere il tecnico spagnolo talmente tanto, da indurlo a pubblici complimenti. Forse la sua nuova vita è cominciata lì, da quel «Viviani (anzi Bibiani) mi piace tanto » lasciato cadere da Luis Enrique dietro precisa domanda nella conferenza stampa di qualche giorno fa. E pensare che Federico credeva davvero che a cambiargli la vita fossero stati due calci di punizione a Milano, quelli che lo scorso gennaio, oltre a far stropicciare gli occhi a tutto il "Giacinto Facchetti" (incluso il Bardi, convocato in Under 21), trascinarono la Primavera verso la finale di Coppa Italia. Gliel’avessero chie to appena qualche settimana fa, avrebbe detto senza neanche rifletterci che la svolta era stato quel gelido pomeriggio milanese e invece il bello doveva ancora venire. «Abbiamo iniziato a credere che avremmo vinto lo scudetto la notte in cui abbiamo perso la Coppa Italia».

Era questa una delle frasi ricorrenti al termine della sfida con il Varese, con i giocatori che lasciavano lo spogliatoio con le facce stravolte da una felicità che non trovava le parole. Viviani non era fra questi, visto che l’antidoping lo aveva costretto ad arrivare alla cena con cui la Roma festeggiò il trionfo in un ristorante di Montecatini con un’ora abbondante di ritardo. Sapeva quasi di beffa per lui che di quella Primavera era un insostituibile, trentanove presenze fra campionato, Coppa Italia e Viareggio, però a Federico andava bene così, anche perché per venti lunghissimi minuti aveva temuto che a far sfumare lo scudetto fosse stato un suo errore (un malinteso con Pigliacelli in occasione della rete del 2-1 del Varese): «Ma non arebbe stato giusto» diceva quella sera, subito prima di aggiungere: «Meno male che c’ha pensato Mattia», lanciando uno sguardo divertito in direzione di Montini. Quando è tornato a Grotte di Castro, l’estate era alle porte, eppure ad aspettarlo più che le vacanze c’erano i libri: esami di Maturità, tesina sul progresso, in classe con lui ci sono pure Antei, Frascatore e Montini. Il giorno della prima prova scritta è lui il primo dei romanisti a consegnare il tema, varca il cancello del Poliziano con l’espressione sollevata: «Magari bastasse un calcio di punizione pure per gli esami...».

Ma per tornare a disegnare traiettorie impossibili non avrebbe dovuto attendere molto: si parlava di un ipotetico scambio di comproprietà con il per arrivare a Verratti, invece i primi giorni di luglio a casa Viviani arriva la raccomandata che Federico aspettava. Quando il postino la recapita, lui non c’è, così i suoi gliela fanno trovare sul tavolo, rigorosamente chiusa. Dentro c’è la convocazione al raduno della pri a squadra, quella con cui si era allenato per tre mesi a primavera. «E forse avrei pure esordito, se quella sera all’Olimpico il Parma non avesse rimontato... » diceva non senza un’ombra di delusione il giorno del suo esordio in Under 19 (altra giornata da incorniciare, visto che si giocava a Viterbo ed era pure il suo compleanno). È arrivato in ritiro come «uno dei Primavera campioni d’Italia», l’ha finito come «quello che Luis Enrique fa giocare nel ruolo di ».

Ossia il vertice basso del centrocampo a tre, che negli schemi del tecnico arriva ad arretrare sulla linea dei difensori quando i terzini salgono: un movimento che Viviani conosce piuttosto bene, visto che a fare le sue fortune è stato proprio l’arretremento in regia voluto per lui da Andrea Stramaccioni (che da anni fa giocare le sue squadre in quel modo, chiedere a , Ciciretti, Verre e ultimo Spadari). «Quel passaggio mi ha cambiato la carriera - ricordava il centrocampista tempo fa -. E io che all’inizio non lo volevo fare...». Qua to bene abbia imparato a farlo l’ha capito al primo colpo d’occhio anche Luis Enrique, che per tutto il ritiro lo ha provato in quella posizione (se si eccettua l’amichevole con il Sudtirol in cui l’ha schierato al centro della difesa).

E dall’altra sera se ne sono accorti anche i tifosi della Roma, che l’hanno visto andare a prendere il posto di dando dimostrazione di una personalità non comune per i suoi diciannove anni. «Ma io cerco di rubare con gli occhi quante più cose posso dai compagni più grandi in ogni allenamento - spiegava sorridente -. Se sono andato bene, il merito è loro». Nella numerazione ufficiale ha voluto per sé la maglia numero 92, quello del suo anno di nascita, ottenuta battendo sul tempo il coetaneo Antei («ma Luca sapeva che la volevo io, non è che ce la siamo litigata» ha raccontato agli amici). L’impressione è che la lunga estate di Viviani possa presto portare quel 92 sul prato dell’Olimpico.