Enrique fra Garcia Marquez e Liedholm: cent’anni di solitudine e la rivoluzione

13/09/2011 11:15

“Gabo” nel suo capolavoro, Cien anos de soledad, "Cent’anni di solitudine", descrive le peripezie della famiglia Buendia, condannata, nonostante il trascorrere delle generazioni, a rivivere le stesse vicende e a commettere gli stessi errori: il solito gol di Conti, le partenze ad handicap. «È proprio come se il mondo continuasse a girare in tondo», avrebbe detto Ursula Buendia. Gabriel Marquez è nato nel 1927, tre mesi prima della Roma, quando ha una penna in mano è un dono di Dio al mondo, ma di calcio ne mastica pochino, tanto che qualche anno fa dichiarò al Corriere della Sera di essere convinto che Asprilla era «immenso», dunque dubito che saprebbe darci lumi. Mi sforzo allora di richiamare alla mente una situazione che possa presentare delle analogie. Il Gabrel Marquez degli allenatori della Roma, senza offesa per nessuno, è stato e sempre sarà Nils Liedholm.

Se quella di Luis Enrique è una rivoluzione, l’avvento del tecnico svedese ha avuto lo stesso impatto sull’ambiente romanista del passaggio dall’età della pietra a quella del bronzo. Liedholm ha letteralmente creato la parola «programmazione» in un club che era sempre andato avanti con colpi di genio e improvvisi deliri. Liedhom è stato la luce elettrica contro quella del fuoco, non dovevi aspettare il fulmine, schiacciavi un pulsante e uscivi dalle tenebre. E pure, anche il suo avvento è stato tremendo. Come Luis Enrique nel lontano 1973, rilevando la squadra a campionato iniziato, aveva avuto pochi giorni (7 per l’esattezza, due di meno di quelli che il tecnico spagnolo ha avuto, ad esempio, con Gago) a disposizione per assemblare la squadra. L’attuale Mister ha subito due colpi durissimi con l’eliminazione dall’Europa League e la sconfitta contro il Cagliari nella prima gara interna, ma Liedholm, come diciamo qui a Roma: “non gli ha regalato niente”. Le prime due gare ufficiali del nuovo corso svedese videro la Lupa sconfitta per 1-0 all’Olimpico contro ilNapoli (in quello che allora, non a caso, si chiamava derby del Sud) e andare KO nel derby con la Lazio del 9 dicembre, con un 2-1 che è tutto un programma. Ora se queste ultime sconfitte sono state tremende d mandare giù è garantito che lo furono anche quelle nel 1973. La prima arrivò con il nevischio che colpiva gli occhi e il sottofondo di 20 mila tifosi del intenti a sparare qualsiasi tipo di mortaretto siate in grado d’immaginare. Non mancò neanche il simpatico gol d’ordinanza annullato a Santarini da Gonella. Liedholm si presentò al fuoco di fila dei giornalisti dopo pochi minuti dalla fine della gara per dichiarare: «Ho visto una squadra che aveva una gran paura di tenere la palla. Con maggiore tranquillità sarebbe stato possibile trovare più spesso la via dell’ultimo passaggio». Eh si, perché la Roma di Liedholm pur facendo gioco non aveva finalizzato (vi dice qualcosa?). La giornata della rivincita, nel derby della domenica seguente si trasformò in una tragedia.

La Roma domina in lungo e in largo e va in vantaggio con Negrisolo. Nell’azione del gol s’infortuna D’Amico che rimedia una gomitata ed esce in stato di amnesia. Prende il suo posto Franzoni, un carneade assoluto (vi dice niente?), che segna e riapre il match. Poi ci pensa quel fenomeno di Lo Bello, ignorando un mani di Nanni in area bianco-celeste e la carica al con tocco di mano che apre la strada al 2-1 di Chinaglia. Cordova a fine gara, non proprio sereno, disse che la Lazio in campo era stata aiutata dalla fortuna: «Ma la fortuna della Lazio non è stata la dea bendata». Finì insomma con una batosta micidiale e con i titoli impietosi dei giornali contro Liedholm e del resto la Roma era sprofondata all’ultimo posto in classifica quando correva ormai l’ottava giornata di campionato, una cosa da far accapponare la pelle. Dalle macerie strazianti di questo avvio, Nils Liedholm e la sua Roma hanno saputo venir fuori fino a costruire il primo ciclo della “primavera svedese”, quello culminato con il terzo posto, per poi riprendere la scalata anni dopo, coronandola con il titolo. Insomma, parafrasando Gabriel Marquez e il finale del suo Cien anos: le stirpi condannate a Cent’anni di solitudine non hanno una seconda possibilità sulla terra … le squadre di calcio si, basta volerlo.