Tutto iniziò con Monti e Orsi

06/10/2011 10:59



A Roma c’era il “Corsaro nero”, Enrique (guarda caso) Guaita, che l’anno dopo il mondiale fece addirittura 29 gol in un campionato a sedici: record. Dobbiamo a questi giocatori il primo alloro. Guaita e Orsi scapparono nel 1935: c’era aria di guerra in Etiopia. Italiani sì, ma a corrente alternata. Riaprimmo negli anni sessanta, nel momento più nero del nostro calcio, che non si era ripreso dalla tragedia di Superga. Bei nomi, ma in Nazionale un flop: Schiaffino, Montuori, Angelillo, Lojacono, Altafini, Maschio, Ghiggia, Cesarini e la sua zona, Sallustro di cui si innamorò , Pesaola, Da Costa, Puricelli, il gentile e mite Sormani, l’irascibile Sivori. Chi più chi meno, fecero tutti male, se non peggio. L’Italia si riprese nel 1968, quando Valcareggi mise dentro calciatori nati qui: le bistecche non erano più un miraggio. Pensate a Riva, a Domenghini, a Boninsegna, a Facchetti. Non c’erano oriundi nel 1982, quando Bearzot impiegò ragazzi nati intorno agli anni sessanta, quelli del boom economico, delle vacanze a Riccione, del pesce due volte alla settimana. Di oriundi si tornò a parlare negli anni della globalizzazione: ma come, gli altri, vedi Francia e Germania li utilizzano e noi vogliamo fare i retrogradi? Lippi convocò Camoranesi, che un giorno disse: non canto l’inno per non offendere mio padre e poi non conosco neppure quello argentino. Fu utile, ma ci siamo sempre chiesti se ce ne fosse veramente bisogno. Non ce n’era di Amauri. Non ce n’era di Motta, i penultimi arrivati. Schelotto ha già giocato con l’Under 21 e sembra un Camoranesi più alto. Osvaldo raggiunse a suo tempo la nazionale giovanile, è nato in Argentina, ma sta qui, periodo catalano a parte, da molto tempo. Sempre oriundo è. Ma se non altro “Er cipolla” parla bene la nostra lingua.