Sarà in quei giorni, dicevo, che dovremo tenere i nervi a posto e stargli, nonostante tutto,
vicini. O almeno: che dovrà stargli vicino chi nella sua idea di calcio e di Roma si riconosce. Confermo tutto. Parola per parola. Aggiungendo, però, che uno spettacolo
desolante, inquietante, avvilente e chi più ne ha più ne metta come quello di domenica a Firenze no, non lo avevo proprio messo nel conto. Quel che è troppo è troppo, di peggio non si potrebbe immaginare, roba così non la merita nemmeno il più ardente sostenitore del nuovo corso della Roma. Va bene non essere mai
schiavi del risultato, come ha rivendicato qualche settimana fa la curva Sud. Ma se il gioco e i giocatori sono quelli di Firenze, beh, qualche risultato sbroccolato alla meno peggio non lo butterei via. Tante cose non le capisco, ma non è tanto di calcio che vorrei parlarle, caro Enrique: sono solo un tifoso di ormai vecchissima data con le sue idee, non un commissario tecnico di complemento. Piuttosto vorrei parlarle un attimo, se permette, di lei. Anche se non ho il piacere di conoscerla di persona, mi pare di capire che lei sia, per lo meno in senso calcistico, un rivoluzionario o comunque un
riformatore radicale. E questo basta a rendermela in partenza simpatico, molto simpatico. Mi sembra pure, però, che lei, da bravo asturiano trapiantato a Barcellona, sia anche parecchio ideologico.
E questo va bene, se si tratta di tener fede ai propri principi, e di non venire a patti con chi la esorta a mediocri compromessi in nome del carattere irriformabile del calcio italiano e, più semplicemente, con quelli che hanno della Roma unidea banalmente romanesca. Va meno bene se, in nome dellideologia (altrimenti detta: progetto) ci si rifiuta di fare i conti con la realtà. Caro Enrique, mi creda: provo un naturale, insopprimibile affetto per i
grandi visionari, nel calcio e non solo calcio. Ma le rivoluzioni, o se preferisce le riforme radicali, purtroppo o per fortuna non le fanno i visionari. Le fa gente che, senza rinunciare ai propri principi, e anzi proprio per cercare di metterli in atto, fa i conti con il principio di
realtà, perché in caso contrario è la realtà a fare impietosamente i conti con loro.Ecco, se proprio devo dirla tutta, così mi è parsa la
Roma contro la
Fiorentina più che in tutte le altre partite viste sin qui: vagamente
irreale. Nel gioco collettivo, perché nessuno potrà mai farmi capire come faccia realisticamente una squadra votata, mediante il possesso palla, allattacco a non tirare quasi
mai in porta e dunque, si capisce, a
non segnare. E nei singoli: le cito (per tutti) solo Bojan, pazzesco sostituto di Stekelenburg allultimo minuto, per segnalarle, ma con ogni probabilità non ce nè bisogno, quanto sia ancora lunga la strada per trasformare in ometti con un minimo di sale in zucca tanti genietti incompresi.
La esorterei dunque, caro Luis Enrique, a coltivare anche un po di
sano realismo e un po di sano
gradualismo, proprio per far fare dei passi avanti al suo progetto rendendolo, magari, un po più comprensibile anche a noi. Metta, per cominciare, dei
punti fermi. Va bene che tutti sono importanti e nessuno insostituibile, ma una sua idea di squadra la avrà pure: ce la faccia capire, per esempio non cambiando i titolari (e il gioco)
ogni partita che Dio manda in campo. Va bene che tutti sono intercambiabili: a me (e non credo solo a me) risulta difficile come si possa fare a meno contemporaneamente di
Totti, di Osvaldo e di Borriello, se lei la pensa, come pare, diversamente, ci faccia capire, se possibile in campo, come si fa a segnare un gol. Potrei continuare, la faccio finita qui. Rifiutandomi di rifiutare a Luis Enrique la delega ideale che gli ho concesso, assieme a tanti altri confratelli, dal primo giorno. Ma facendo pure voti perché il nostro Luis non se la ritiri da sé.