La cosa che salta oggi agli occhi, quando si entra nellimpianto napoletano, è la famosa gabbia dove i tifosi
ospiti vengono disposti. Questo settore dello stadio lo hanno voluto le istituzioni poco tempo fa per far sì che le due curve
non vengano a contatto; teorema dimostratosi inutile perché quando tutte e due le tifoserie volevano scontrarsi, lhanno fatto comunque. Ritornando a quelle passioni vere, quelle di un vecchio stile che non cè più, i 200 km di distanza che separano le città erano come un viaggio per dimostrare a tutto il mondo che i mejo eravamo noi quelli dei 90 minuti di tifo totale. Ricordiamo la trasferta dellanno del secondo scudetto con immenso
piacere non solo per il risultato altisonante, un rotondo
1-3, ma proprio perché quellanno fu fu unapoteosi sia di tifo sia di risultato. Certo la squadra quellanno ci aiutava molto, tutto era facile ma vi assicuriamo che quella trasferta, quella di Napoli, era un vero e proprio banco di prova per le nostre ugole. Tanti striscioni in quella curva che ci competeva e tanti ragazzi pronti a tutto per far valere la romanità. Tante voci che in quello stadio si dovevano moltiplicare perché davanti avevamo un tifo che se la giocava. Cinquecento ragazzi presi dalleuforia, dalla partecipazione, dalla grinta, dallessere romano ed essere anche un po strafottente; serviva anche questo in quella città. Come quelle trasferte vicine ci si alzava sempre presto la mattina o magari si raggiungeva il luogo dove partiva il pullman, lo stesso luogo storico deve si partiva per ogni destinazione, lautista la stessa faccia ogni volta, i ragazzi sempre quelli, dopo una notte in bianco passata per pub e discoteche sapendo che poi ti allungavi per terra sul corridoio per farti una piccola pennichella. Si arrivava passando per la tangenziale sempre affollata, sempre trafficata e si scivolava piano piano verso il San Paolo scortati da macchine avvolte dei colori della squadra che ci ospitava; una parola qua e una là, più o meno lecita. Si arrivava dopo qualche minutino di traffico in curva, si piazzavano le pezze e si cominciava a cantare, a tifare.
E uno e due e tre,
Iorio, Nela, Chierico. Un trionfo anche perché erano undici anni che la Roma non passava a Napoli. Un trionfo anche perché noi avevamo vinto in tutte le salse quella partita, consumando completamente la nostra ugola e quando il biondo Odoacre mise la palla nel sacco per la terza volta, i tifosi napoletani cominciarono a contestare la squadra lasciandosi andare a violente distruzioni e a
applaudire la Roma e i romanisti che avevano surclassato in tutto e per tutto i rivali napoletani. Era il 10 ottobre del
1982 una giornata da incorniciare sotto tutti i punti di vista. Ci si preparava a ritornare a Roma in fretta e furia perché la polizia ci invitava a partire subito: una frangia di tifosi locali stava contestando la squadra e si stavano consumando degli scontri con le forze dellordine. Controvoglia si saliva sul pullman comandati da un capitano dei carabinieri romano che ci invitava gentilmente ad accelerare le operazioni. Si correva verso la Capitale, si correva sempre quando le trasferte erano così vicine; si doveva arrivare in tempo per la
Domenica Sportiva, anche quella un miraggio oggi perché fatta vecchio stile, con il servizio della Ds che metteva in evidenza il risultato. Quella trasmissione non aveva niente da invidiare alla Ds di oggi, tecnologicamente parlata e strillata. La mattina dopo ci si alzava senza voce e quindi autorizzati a non andare a scuola e sicuri di aver dato tutto non solo al
Derby del sole ma anche al Derby del tifo ampiamente vinto.