Nell'82 la trasferta fu un'apoteosi

18/12/2011 11:23

 
La cosa che salta oggi agli occhi, quando si entra nell’impianto napoletano, è la famosa gabbia dove i tifosi 
ospiti vengono disposti. Questo settore dello stadio lo hanno voluto le istituzioni poco tempo fa per far sì che le due “curve” non vengano a contatto; teorema dimostratosi inutile perché quando tutte e due le tifoserie volevano scontrarsi, l’hanno fatto comunque. Ritornando a quelle passioni vere, quelle di un vecchio stile che non c’è più, i 200 km di distanza che separano le à erano come un viaggio per dimostrare a tutto il mondo che “i mejo” eravamo noi quelli dei 90 minuti di tifo totale. Ricordiamo la trasferta dell’anno del secondo scudetto con immenso piacere non solo per il risultato altisonante, un rotondo 1-3, ma proprio perché quell’anno fu fu un’apoteosi sia di tifo sia di risultato. Certo la squadra quell’anno ci aiutava molto, tutto era facile ma vi assicuriamo che quella trasferta, quella di , era un vero e proprio banco di prova per le nostre ugole. Tanti striscioni in quella curva che ci competeva e tanti ragazzi pronti a tutto per far valere la “romanità”. Tante voci che in quello stadio si dovevano moltiplicare perché davanti avevamo un tifo che “se la giocava”. Cinquecento ragazzi presi dall’euforia, dalla partecipazione, dalla grinta, dall’essere romano ed essere anche un po’ “strafottente”; serviva anche questo in quella à. Come quelle trasferte “vicine” ci si alzava sempre presto la mattina o magari si raggiungeva il luogo dove partiva il pullman, lo stesso luogo storico deve si partiva per ogni destinazione, l’autista la stessa faccia ogni volta, i ragazzi sempre quelli, dopo una notte in bianco passata per pub e discoteche sapendo che poi ti “allungavi” per terra sul corridoio per farti una piccola “pennichella”. Si arrivava passando per la tangenziale sempre affollata, sempre trafficata e si scivolava piano piano verso il San Paolo “scortati” da macchine avvolte dei colori della squadra che ci ospitava; una parola qua e una là, più o meno lecita. Si arrivava dopo qualche “minutino” di traffico in curva, si piazzavano “le pezze” e si cominciava a cantare, a tifare.
 
 E uno e due e tre, Iorio, Nela, Chierico. Un trionfo anche perché erano undici anni che la Roma non passava a . Un trionfo anche perché “noi” avevamo vinto in tutte le salse quella partita, consumando completamente la nostra ugola e quando il biondo Odoacre mise la palla nel sacco per la terza volta, i tifosi napoletani cominciarono a contestare la squadra lasciandosi andare a violente distruzioni e a “applaudire” la Roma e i romanisti che avevano surclassato in tutto e per tutto i “rivali” napoletani. Era il 10 ottobre del 1982 una giornata da incorniciare sotto tutti i punti di vista. Ci si preparava a ritornare a Roma in fretta e furia perché la polizia ci invitava a partire subito: una frangia di tifosi “locali” stava contestando la squadra e si stavano consumando degli scontri con le forze dell’ordine. Controvoglia si saliva sul pullman “comandati” da un capitano dei carabinieri “romano” che ci invitava gentilmente ad accelerare le operazioni. Si correva verso la Capitale, si correva sempre quando le trasferte erano così vicine; si doveva arrivare in tempo per la Domenica Sportiva, anche quella un miraggio oggi perché fatta “vecchio stile”, con il servizio della Ds che metteva in evidenza il risultato. Quella trasmissione non aveva niente da invidiare alla Ds di oggi, tecnologicamente “parlata” e “strillata”. La mattina dopo ci si alzava senza voce e quindi “autorizzati” a non andare a scuola e sicuri di aver dato tutto non solo al “Derby del sole” ma anche al “Derby del tifo” ampiamente vinto.