Calcioscommesse, nel covo dello Zingaro. "Con 30 giocatori ho truccato i campionati"

11/03/2012 12:12

Hristiyan è Ilievski, il principale latitante del calcioscommesse. Lo cerca la polizia, e l'Interpol. Secondo la procura di Cremona è la pedina chiave, l'uomo che avvicinava i giocatori di serie A per "fare le partite", li contattava tramite intermediari, li aspettava in albergo o nei ritiri con le borse piene di soldi, e li convinceva con le classiche "offerte che non si possono rifiutare". La mattina del primo giugno scorso, mentre Beppe Signori finiva in manette insieme con gli altri complici, lui è scappato dalla sua casa di Cernobbio e si è rifugiato qui, in Macedonia, protetto dalla propria fama e da un manipolo di bodyguard che lo chiamano boss. La strada per arrivare alla "casa dell'amico" è uno sterrato contorto e brullo che prima di arrampicarsi sulla roccia attraversa il quartiere albanese della à. Un incubo balcanico di strade e palazzoni grigi. Se non fossimo dentro la sua Bmw X5 bianca lucente, Hristiyan sputerebbe ad ogni incrocio per il disgusto di vedere così tanti albanesi in giro. Ma siamo in macchina, quindi si limita a bestemmiare. Attraverso la tela di un borsello nero accarezza il corpo della pistola, piccolo calibro con intarsi in legno, e poi sibila qualcosa in macedone. La "casa dell'amico" in realtà è un "ristorante privato" chiuso al pubblico ma attrezzato per servire in un ambiente lussuoso una manciata di ospiti particolari: la discrezione si paga in contanti.

"IL MIO NUMERO FORTUNATO" - Hristiyan è sterminato: un metro e novanta di altezza, peserà non meno di 110 chili. È un ex agente della polizia speciale macedone: la guerra del Kosovo gli ha lasciato una cicatrice sul viso e un'altra, molto più grande, che parte dal mignolo della mano destra e finisce all'altezza del polso, dove si confonde con l'inchiostro di un enorme "5" tatuato tanti anni fa. "È il mio numero fortunato", ride alludendo a chissà cosa. Perché, in questa storia, tatuaggi e cicatrici non sono un dettaglio. Anzi. La prima cosa che raccontano ai magistrati i calciatori avvicinati da Ilievski è proprio quel segno profondo sull'arcata sopraccigliare "di quell'uomo brutto", descritto come "enorme" e "silenzioso". "Brutto? - ride Ilievski - A me non sembra. Mia moglie dice di no. Certo è mia moglie... Comunque quelle cose di me le ha dette Micolucci. Me la ricordo quella notte, al parcheggio. Lui doveva darmi dei soldi da scommettere su una partita. Ed è vero che non parlavo, perché ero stanco. Ero partito in macchina da Cernobbio ed ero arrivato fino ad Ascoli. Era buio e lui parlava e parlava, e cercava di convincermi ad accettare un pagamento con assegni invece che in contanti. Guardavo davanti e così lui di me ha visto solo la cicatrice... mi spiace che si sia spaventato. Anzi no, non mi spiace. Però dire che il mio ruolo era quello di far paura ai giocatori è ridicolo".

"COME TONY MONTANA" - E allora, qual era il suo ruolo? "Quello di uno che scommette. A me e a Gegic (l'altro latitante di questa storia, ndr) ci hanno chiamato gli Zingari, Gipsy, come se fossimo una mafia. In realtà non siamo zingari e non siamo nemmeno un gruppo. Noi compriamo informazioni e scommettiamo. E basta. Mi chiamano i calciatori e mi dicono: "20mila su questo o su quel risultato". E io lo faccio facilmente, perché la gente si fida". Chi sono i calciatori? "Una trentina, 90 per cento di squadre di serie B, il resto di A. I nomi non te li dico, io non sono uno scarafaggio, io gli scarafaggi li schiaccio, come dice Tony Montana (Scarface, ndr). Lo conosci, no?" sorride, si china, solleva l'orlo dei pantaloni per mostrare il volto di Al Pacino che si è fatto tatuare sul polpaccio. "Ho letto Puzo (autore de Il padrino), conosco a memoria Scarface: so come ci si comporta, io".

Perché il cuore del calcioscommesse, secondo Ilievski, sono proprio i calciatori: "In Inghilterra non succede, in Italia invece sì: si mettono d'accordo, poi scommettono e vendono le informazioni. Quando le vendono a noi, o quando noi le scopriamo ci puntiamo sopra forte. Altrimenti le vendono a qualcun altro. Alla mafia siciliana, a quella albanese, agli ungheresi oppure a Beppe Signori che è uno dei capi del calcioscommesse in Italia. A tutti. Spesso sono gli stessi dirigenti dei club a mettersi d'accordo. Alla fine dello scorso anno, sono venuto io personalmente in Italia. Era quasi tutto già deciso, chi vinceva lo scudetto, chi andava in Europa, chi finiva in serie B. Quindi è stato un "festival". C'erano sei squadre che ritenevamo affidabili: Sampdoria, Cagliari, Bari, Lecce, Siena e Chievo. E noi abbiamo fatto un mucchio di soldi".

"SONO ANDATO A FORMELLO" - Sono le otto di sera. Le ciotole con le salse all'aglio e allo yogurt sono ormai relitti al centro del tavolo. Quello che Ilievski ha presentato come "l'amico" sta servendo la carne alla griglia. Hristiyan l'accompagna con grappa macedone, versata da un alambicco di rame. "Un sacco di soldi li abbiamo fatti anche con Lazio-. È andata così: io cercavo da un po' di parlare con qualcuno della Lazio, per avere informazioni sicure. Ma non ci riuscivo. Sono andato a Formello, vero, ma lì non ho incontrato nessuno. Però mi hanno detto: "Guarda che la partita è fatta. L'ha fatta Sculli. L'accordo è 1-1 per il primo tempo, poi nel secondo tempo partita vera, anche se alla fine il ha poi dato i tre punti alla Lazio che doveva andare in " (la circostanza risulta anche dagli atti dell'indagine, mentre Sculli al Quello che "ha detto" è Zamperini? "Non sono uno scarafaggio, io. Il nome di Zamperini non lo farò mai. Gli ho rovinato la vita chiedendogli di trovarmi delle informazioni sul campionato di Serie A e adesso lo difenderò fino alla fine. Non sono come , uno che fa le estorsioni. Dopo la prima parte dell'inchiesta, quest'estate voleva andare da Mauri, "se non mi dà un milione di euro vado a Cremona e racconto tutto", aveva detto. Quello che so io è che quella dritta era giusta, Sculli ha "fatto" la partita e io ci ho guadagnato un sacco di soldi. E come me mezzo Lazio, inteso come regione, lo sapevano tutti". Come confermano anche i flussi delle giocate.

"I SOSIA DI LECCE" - Ciò che colpisce sono gli aneddoti e i dettagli. Come "la faccia di Bentivoglio" quando Ilievski entrava nella sua stanza d'albergo prima di Palermo-Bari. "Masiello l'aveva costretto a incontrarmi per farmi vedere che la partita era aggiustata. Io gli avrei dato dei soldi per quella dritta, il Bari avrebbe perso quasi certamente e lui avrebbe fatto il colpo. Ma si vedeva da un chilometro di distanza che Bentivoglio se la stava facendo addosso: tremava, era pallido. Mi stavano truffando. E allo stadio si è visto subito. Così mi sono coperto: ho chiamato il mio amico Dan a Singapore (il capo del calcioscommesse mondiale, secondo i pm, ndr) e gli ho detto, "punta sul Palermo", così siamo andati in pari". Oppure come il "numero di Erodiani": il tabaccaio di Ancona, per farsi fare credito su una partita del Lecce si sarebbe presentato al casello autostradale insieme a tre "sosia" di giocatori giallorossi che dovevano garantire la combine: "Me ne accorsi subito, per fortuna, se no andavamo rovinati".

Hristiyan interrompe il suo racconto. Il padrone di casa ha messo a tutto volume "Caruso" cantata, al Pavarotti and Friends, da Pavarotti insieme a Dalla. Il viso di Hristiyan si contrae in un'espressione commossa, prossima al pianto, ma senza lacrime. "È la mia preferita", dice in italiano (e infatti costringerà il padrone di casa a rimetterla una dozzina di volte). "Comunque penso che prima o poi verrò in Italia. Io amo l'Italia. Mi farò un po' di carcere, lo so. Ma non posso continuare a vivere qui, così. Chiarirò tutto e tornerò a casa mia, a Cernobbio". Arrivano i dolci. Ma Hristiyan continua a mangiare salsicce affumicate. E a commuoversi per "Caruso". In carcere un sacco di gente gli farà delle domande, osserva il suo bodyguard. Proprio in quel momento un piccolo scarafaggio decide di attraversare la sala. Hristiyan lo guarda per un attimo. Lo raccoglie delicatamente. Lo mostra ai commensali. Sorride. Poi, lo schiaccia.