Osvaldo: "Mi hanno tolto il derby perché ce l’hanno con me"

01/03/2012 08:35

 

 



Osvaldo, cominciamo dal derby?

«Non mi ci fate pensare. Mi dispiace tantissimo non giocarlo. Anzi mi rode, come si dice a Roma. Non ci sarò per un’ingiustizia: non meritavo l’espulsione a Bergamo».



Le immagini non hanno chiarito il suo contatto con Cigarini.

«Se era da il mio fallo, il mio avversario meritava un rosso e mezzo. Purtroppo è andata così: pazienza».



Ha la sensazione che la sua fama di ragazzo turbolento incida sulle decisioni degli arbitri?

«Sicuramente. A volte sembra ce l’abbiano con me. Purtroppo nel calcio questo tipo di condizionamenti c’è sempre stato: certi giocatori fanno il triplo delle cose che faccio io eppure non vengono puniti. Dovrò stare più attento: se non avessi commesso un fallo, non saremmo qui a commentare un’espulsione».



Come spiega la nomea di attaccante attaccabrighe?


«L’avete creata voi giornalisti. Sono sempre stato dipinto come una persona litigiosa, ma non lo sono. Odio stare al centro delle polemiche. Vorrei fare notizia per qualcosa di positivo. In ogni caso, mi interessa poco quello che si dice».



Senza Osvaldo come finisce il derby?

(ride) «Uguale. Anzi, forse è meglio per la Roma. La mia assenza non influirà sulla squadra, che ha tanti giocatori bravi. Ma non chiedetemi un pronostico perché sono troppo incavolato. Speriamo bene».



L’espulsione le ha fatto perdere anche la Nazionale. 

E’ una punizione corretta? 



«Sì. La presenza di un codice etico fa crescere una squadra. E va applicato. Naturalmente poi mi dispiace che sia toccato a me restare fuori».



Il codice etico non dovrebbe punire anche i calciatori che non aiutano gli arbitri? Buffon ha fatto discutere per il gol fantasma di Milan-.


«Ma questa è un’altra storia. Un calciatore durante il gioco non ha il dovere di dire all’arbitro: “Hai sbagliato”. Quando siamo in campo, tutti pensiamo a vincere. E poi mi schiero dalla parte di Gigi, che nelle dichiarazioni è stato sincero».



Lei ha si è mai costituito con un arbitro?

«Se dovessi confessare agli arbitri tutto quello che faccio, prenderei quattro espulsioni a partita. Ed è lo stesso per tutti i calciatori: la furbizia è parte del gioco».



Contro la Lazio intanto rientra dopo la
... di Luis Enrique.


«L’allenatore ha fatto una scelta, non vorrei entrare nel merito (si prende una pausa, ndr) ... Anzi sì, esprimo il mio parere, perché non riesco a non dire quello che penso: io non l’avrei lasciato fuori per un ritardo».



Forse è proprio questa sua sincerità scomoda a non piacere a tutti...

«Non posso farci niente, non so stare zitto. Ho un carattere di merda. Ma è anche grazie a questo carattere che sono arrivato alla Roma. Sono un lottatore».



In questo modo ha conquistato i tifosi.

«Con loro mi sono trovato bene da subito. La gente è fantastica, unica, sa emozionarti: allo stadio ogni volta che ascolto l’inno mi viene la pelle d’oca». 



La chiamano “er Cipolla” per via del modo in cui lega i capelli. Le piace?

«No, ma mi fa ridere. Non puoi che ridere davanti ai soprannomi che ti danno i romani».



Eppure all’inizio c’era scetticismo sul suo conto, perché in Italia ricordavamo un altro Osvaldo.

«Chiaro. Anche io prima di essere un calciatore sono stato un tifoso. Non mi conoscevate, perché quando sono andato all’Espanyol venivo da un periodo difficile. E’ stata anche colpa mia: non ero un grande professionista, ero un ragazzino che sbagliava molto, che non si comportava bene».



In questa stagione, prima dell’espulsione di Bergamo, aveva litigato con Lamela. Ci può spiegare la verità su quello che è successo negli spogliatoi di Udine?

«Una discussione che è finita lì. Credetemi, el Coco per me è come un fratello minore. Non a caso ha 19 anni come il mio vero fratello. E’ un ragazzo d’oro che io voglio aiutare a inserirsi in Italia. Quando avevo la sua età, nessuno mi ha aiutato. Ho compiuto 20 anni da solo, piangendo in un albergo di Bergamo (ancora Bergamo!, ndr) . Vorrei essere per Erik quello che nessuno è stato per me».



Lamela è andato con la nazionale argentina, mentre lei ha scelto l’Italia. Rimpianti?

«Zero. Anche se sono nato in Argentina, se i miei parenti e i miei amici vivono là, io gioco per l’Italia. I selezionatori argentini non hanno mai mostrato interesse per me. Lo capisco anche. Quando hai , Aguero, Tevez, Lavezzi, la qualità in attacco non manca». 



E se al Mondiale le capitasse Italia-Argentina?

«Sarebbe strano. Ma mi piacerebbe esserci, per poi pormi il problema».



Intanto c’è l’Europeo. E per andarci da protagonista deve tornare l’Osvaldo di fine 2011.

«In effetti l’anno nuovo mi sta portando male. Prima l’infortunio, poi l’espulsione. Spero di recuperare presto la forma migliore e anche i gol. Già contro l’Atalanta stavo bene, sentivo che sarebbe successo qualcosa. Ma invece sono finito fuori».



Cosa manca a Osvaldo per diventare un calciatore top a livello internazionale?

«La continuità. Non sono mai riuscito a giocare una stagione intera ad alti livelli. Nemmeno lo scorso anno all’Espanyol: ero partito forte, poi mi sono dovuto operare agli adduttori. Sicuramente posso dare di più».



Nella Roma ha impiegato poche settimane per essere decisivo.

«E ho anche cambiato ruolo, adattandomi alle esigenze di Luis Enrique. Non lo dico per fare polemica, anzi ringrazio l’allenatore perché mi ha insegnato un nuovo modo di giocare che mi ha fatto raggiungere la maglia azzurra, ma è un dato di fatto: a me piace giocare centravanti, per essere sempre vicino alla porta. Invece così è più difficile».



Anche alla Roma manca la continuità.

«Normale. Siamo molto forti ma anche molto giovani. Ci vuole un po’ di tempo per acquisire la nuova mentalità che ha portato Luis Enrique. La base è buona, solo che a volte ci perdiamo nei dettagli. Ora proviamo a inseguire l’Europa, dall’anno prossimo lotteremo per vincere». 



Luis Enrique l’ha voluta a tutti i costi alla Roma. E’ stato un suggerimento di De La Peña?

«Sì. Ivan mi conosceva essendo stato il mio capitano, un grande capitano. Luis Enrique l’ho conosciuto l’anno scorso, quando è venuto a vedere una partita dell’Espanyol. Sapevo di piacergli, poi le società hanno trovato un accordo».



E che capitano è?


«Il numero uno. Mi ha sorpreso come persona: la sua semplicità è unica. In campo non ti rimprovera mai anche se sbagli mille passaggi. Io invece mando sempre qualcuno a quel paese...».



E tra i calciatori, chi l’ha sorpresa?

«. Non pensavo fosse così forte perché non lo conoscevo. Del resto, a casa non guardo le partite. Altrimenti mia moglie mi caccia di casa».



Allora è vero quello che dicono: a Osvaldo non piace il calcio.

«No, io adoro giocare. Da bambino adoravo il Boca. Ma crescendo ho capito che esistono altre cose oltre al pallone. Quando smetterò di giocare, vedremo cosa fare. Non sarà facile staccarsi da questo mondo. Di sicuro però non farò l’allenatore».



A proposito di tecnici, a chi deve di più?

«Zeman, che mi ha insegnato a Lecce dei movimenti offensivi incredibili. Gli auguro di salire in A con il . Ci sentiamo ancora, attraverso un amico comune: Filippo Fusco, una specie di secondo manager dopo il mio secondo padre, Dario Decoud. E poi dico grazie a Pochettino, che all’Espanyol mi ha preso dal senza nemmeno conoscermi di persona. Se avessi sbagliato quell’occasione, sarei tornato in Argentina. Invece mi sono rilanciato: merito anche della fiducia che lui mi ha dato. Infine Luis Enrique, che ci sta trasmettendo una mentalità stile : vincente. Credo e spero che rimarrà a lungo alla Roma». 



E Osvaldo che progetti ha?

«Fermarmi qua. Volevo provare l’esperienza in Spagna e l’ho provata. Ora voglio vincere tanto a Roma».

 

FUORI DAL CAMPO - «Mi piace il Che Amo blues e rock Suono la chitarra»

Volete conoscere il privato di Osvaldo? Eccone una parte.

LA FAMIGLIA«Ho conosciuto mia moglie Elena a Firenze: lei lavorava nella . E’ gelosissima. E anche io sono geloso di lei. Poi ho due figli: Gianluca che vive in Argentina, e Victoria. Quando smetterò di giocare, farò avanti e indietro con il Sudamerica: sfrutterò i diversi emisferi per vivere sempre d’estate».


GLI IDOLI«Maradona lo metto da una parte: è un mito, anche dopo il fallimento da ct. Al ritorno dal Mondiale gli argentini erano più dispiaciuti per Diego che per l’eliminazione. Ho una Mini colore biancoceleste con il viso di Maradona. Poi mi piacevano Ronaldo, quello vero, e Batistuta. Ma il vero idolo è mio padre. Che non era ricco, faceva l’operaio, eppure si sacrificava tanto per darmi le due monetine che servivano a pagare l’autobus che mi portava agli allenamenti».


LA MUSICA «Il blues è la mia grande passione: Muddy Waters, Chuck Berry. Ma amo anche il rock e il reggae. Adoro i Rolling Stones (e si nota dalla “linguaccia” che porta come ciondolo, ndr), i Pink Floyd. Sto imparando a suonare la chitarra, magari un giorno sarà un hobby a tempo pieno. A casa ho trecento miliardi di dvd musicali».


LE LETTURE«Mi piacciono i libri, soprattutto le biografie su Che Guevara. La politica non c’entra: si tratta di un personaggio fondamentale per la storia argentina e non solo. Inoltre amo uno scrittore francese, Frederic Beigbeder, quello de “L’amore dura tre anni”. Adesso sto leggendo il suo “Windows on the world”, un toccante racconto sulle Torri Gemelle».



LA SOMIGLIANZA«Mi hanno paragonato a Johnny Depp. Io non vedo niente di simile tra lui e me. Ma che volete che vi dica? E’ un bel ragazzo, mi fa piacere!»