16/04/2012 12:05
Lo dice a chiare lettere, il dottor Ernesto Alicicco, allindomani della tragedia che ha visto protagonista Piermario Morosini. «Per spiegarla (...) va naturalmente visto lesito dellautopsia. La mia impressione, basata solo sullesperienza, è che più che di un problema al cuore possa essersi trattato di unemorragia cerebrale. Lo deduco dalle modalità dellepisodio, con il giocatore che ha provato a rialzarsi almeno un paio di volte. Mentre, in presenza di un arresto cardiaco, si rimane immobili a terra. Comè successo a Fabrice Muamba ».
Molto si è detto dellambulanza, arrivata con qualche minuto di ritardo.
Credo che se anche lambulanza fosse arrivata prima, ci sarebbero stati pochi margini. E se da un punto di vista medico-legale la morte è avvenuta in ospedale, è pur vero che, con un elettrocardiogramma e un encefalogramma piatti, cera ormai poco da fare. Se è stato un aneurisma, non cera visita che potesse prevederlo, a meno di sintomi tali da destare sospetti. E giustificare così una Tac a contrasto, che non si fa se non cè motivo di farla. Perché nessuno farebbe accertamenti per verificare patologie a livello cranico. Non faremmo più idoneo nessuno, restringendo ancor più i nostri protocolli, che sono già rigorosi.
Che ruolo possono avere i farmaci?
E vero che troppo spesso si ricorre allantidolorifico per un piccolo dolore. E che cè chi pensa che per fare uno sforzo maggiore debba ricorrere allintegratore. Il farmaco serve solo in presenza di una patologia e non quando questa non cè. Ai miei studenti dico sempre che anche lacqua, che è lelemento più importante per tutti noi, se presa nel dosaggio sbagliato può mandarti allaltro mondo. Allo stesso modo, labuso di farmaci può diventare un fattore di rischio serio, perché può dar luogo a patologie.
Episodi, che, al di là del possibile nesso tra loro, sembrano ripetersi con una frequenza sconcertante.
Nello sport, ma non solo in questambito, le morti improvvise possono avvenire per colpa di malformazioni cardiache, ma anche perché spesso non vengono prestati i giusti interventi quando servono. Se cè un arresto cardiaco, infatti, a meno che non si tratti di una cardiopatia grave, nei primi quattro minuti è possibile intervenire e rimettere in sesto il paziente. Trascorsi quelli, si va invece in anossia, ovvero il muscolo cardiaco non riceve più sangue ossigenato, e inizia la fibrillazione. E ovvio che avere in quei casi un defibrillatore a portata di mano, e soprattutto saperlo usare, può far diminuire la casistica.
Un mantra che si ripete, questo della necessità di avere con sé gli strumenti idonei, anche se si continua a non darvi seguito.
Da sempre ripeto che se non diamo uneducazione sanitaria a coloro che lavorano in ambito sportivo - perché non cè solo il medico, ma anche il massaggiatore, il preparatore, il fisioterapista e lo stesso allenatore - è evidente che ci si può trovare impreparati davanti a un episodio di questo tipo. A me ne sono capitati ben quattro, di arresti cardiaci. E ringraziando Dio, si sono risolti bene tutti e quattro. Tre sono stati di minor entità: mi riferisco a quello del mortaretto esploso a Milano vicino a Tancredi, quello di Nela a Napoli, e quello di Paolo Conti allOlimpico, quando esordì poi Tancredi. Tutti arresti vagali, che fortunatamente si rimettono a posto con poco. Senza immodestia, aggiungo che è però importante sapere come e dove mettere le mani.
Più grave fu certamente lepisodio di Lionello Manfredonia, a Bologna.
Ringrazierò fin che campo Giorgio Rossi, che da signor massaggiatore qual è, mi aiutò in quel frangente. E andò tutto bene, perché sia io che lui capimmo subito cosa serviva fare. Ricordo bene quel giorno. Era il 30 dicembre dell89, e si giocava a undici gradi sotto zero. Quello di Lionello fu un arresto da sincope da freddo. E se in quei quattro minuti non fossimo riusciti nellintento, anche Manfredonia, oggi, sarebbe tra quelli che purtroppo non ce lhanno fatta. Oggi invece sta bene, e non risente più di quello che ha avuto. Nessuna malformazione, nel suo caso, né niente di prevedibile. E vero però che quel giorno, per via del freddo, bisognava prestare molta attenzione alla dieta pre-gara e ai consumi energetici. Manfredonia non amava i dolci e, nonostante i miei tentativi di fargli mangiare una crostata o prendere del miele, non volle ascoltarmi. Si riscaldò anche poco prima della partita. Motivo per cui presi a controllarlo, durante la gara, perché la mia paura era che potesse strapparsi. La sincope gli venne perché le sue difese non erano in grado di far fronte a quella temperatura.
E quando lo vide accasciarsi?
Fortuna volle che la panchina fosse solo ad una ventina di metri. Non ho aspettato neanche larbitro e, insieme a Giorgio, mi sono precipitato. Labbiamo intubato e fatto il massaggio cardiaco. Poi, in ospedale, è stato per ventiquattrore in coma farmacologico, come si è soliti fare. Il giorno dopo - era lultimo dellanno si è risvegliato. E stava già bene.
Sotto accusa, oggi, i controlli periodici, non sempre allaltezza.
In chi fa sport, come professionista, ma a maggior ragione a livello dilettantistico e, ancora di più, nei settori giovanili, i controlli dovrebbero essere più frequenti ed approfonditi. Né dovrebbero essere risparmiate precauzioni. Un esempio: se un giocatore è stato a letto cinque giorni per un virus influenzale, lungi da me fargli riprendere gli allenamenti al sesto giorno, anche se non cè più febbre. Perché non ho la certezza che il fatto virale si sia risolto. In quei casi, gli accertamenti ematologici - che io facevo ogni due mesi, e talvolta anche prima e tutta una serie di altri esami possono risultare fondamentali.
Bastano, come accade oggi, un paio di controlli lanno? E talvolta, tra i dilettanti, neanche quelli?
Un paio sono il minimo di legge. Possono bastare se in quel lasso di tempo non emergono sospetti che spingano ad ulteriori accertamenti. Quello che mi lascia esterrefatto è che non vi sia un controllo rigoroso a livello giovanile. Dove spesso si giocano partite senza che vi sia unambulanza nei paraggi. Il guaio è che nel mondo del calcio si trovano risorse per gli ingaggi e per le attrezzature sportive, ma se si va a chiedere qualcosa per il settore sanitario, non è facile trovare ascolto. Per mia fortuna, ho avuto alla Roma due presidenti, uno più lungimirante dellaltro, che mi hanno sempre accontentato, consentendomi di allestire un centro medico di grosso livello.
Non si sono fatti progressi in tal senso?
Ahimé, no. Negli ultimi anni si è fatto addirittura qualche passo indietro. Di certo, la mancanza di competenze specifiche ha spesso causato danni. E importante infatti che il medico non sia soltanto un traumatologo. Perché non serve: se uno si frattura una gamba, va solo barellato e portato fuori. Il medico di campo deve essere un po come il vecchio medico condotto, che sapeva fare più cose, e conosceva bene i suoi pazienti perché li aveva sempre sotto il proprio occhio.
Cosa fare oggi perché non finisca tutto nel dimenticatoio, come spesso è accaduto in passato?
Prendere coscienza che la medicina dello sport ha la sua importanza. E che serve quindi personale specializzato. Esperto e presente. E quindi, che tutte le società sportive, a partire dai dilettanti, destinino una parte del proprio budget alla prevenzione sanitaria.