De Falchi per sempre con noi

04/06/2012 10:48



L’atmosfera sugli spalti, però, era di tutt’altro indirizzo. Ricordo i cori, la rabbia della gente, il senso di stupore, un “perché ?” senza risposta che rimbombava di bocca in bocca. Il 7 giugno c’erano stati i funerali. Sebino Nela che era in campo aveva visto la sua maglia sul feretro di quel ragazzo di 19 anni. Era stato lo stesso Sebino a donargliela e in quel terremoto emotivo non aveva potuto trattenere le lacrime. Un ragazzino prima dell’inizio della gara scavalcò per deporre un mazzo di fiori a centrocampo. Correva, ma era piccolo e ci mise un’eternità, accompagnato dall’applauso di tutto il Flaminio. Anche Giuseppe Giannini depose dei fiori gialli e rossi, fu una cosa emozionante.



Altre due cose che mi tornano sempre alla mente quando penso ad Antonio De Falchi. La prima è il minuto di silenzio prima dell’inizio della gara con la panchina viola in cui Santarini, Eriksson e Pruzzo erano in piedi, impietriti nella buca della panchina. Dalla Curva li vedevo, fermi. Roberto aveva lo sguardo fisso, le mani dietro la schiena… la seconda immagine all’87’, tre minuti alla fine. Rudy Voller si gettò su un pallone a volo d’angelo rischiando di beccarsi un calcio in testa e mise in rete il pallone che decise la gara. Si rialzò ed esultò indicando con il dito il cielo, come per dire: “Questo è per te”. Fu una giornata bella e tremenda allo stesso modo, perché tutte le partite del mondo non valgono un minuto della vita di un ragazzo di 19 anni, un ragazzo che ha appena iniziato a spiegarsi alla vita. Questo penso ricordando Antonio De Falchi, ma la storia inizia alla stazione centrale di Milano la mattina del 4 giugno. Assieme ad alcuni amici De Falchi ha seguito la Roma in una trasferta tremenda a Milano. Ci aspetta il Milan di Sacchi, quello di Carlo : «Ma se po’ giocà contro Carletto?». Si pensano queste cose prima di una partita, non si può prevedere un’infamia come quella che si sta per verificare, non si può accettare che esistano individui che si recano allo stadio non per tifare per la propria squadra, qualunque essa sia, ma per fare del male, per assalire in branco e colpire con una furia ceca, bestiale. La gara inizia alle 16 ma alle 11:35, De Falchi è già allo stadio con il biglietto, ingresso numero 16, già nelle tasche. Per un ragazzo a cui piace fare il tifo, la partita inizia a quell’ora. Entri, osservi l’atmosfera, partecipi ai cori, scherzi con gli amici, giochi a carte. In quegli anni non c’era telefonino, non c’erano computer portatili, arrivavi sugli spalti dello stadio e per un po’ staccavi la spina da tutto. Ci si diverte con poco, si divideva la roba da mangiare che tutti hanno portato. «Ho due panini al prosciutto, ne vuoi uno?». Passavano così le ore allo stadio, a volte lunghissime, a volte rapide. Passavano così per i bravi ragazzi, per i tifosi veri. Il 4 giugno 1989, però, acquattati dietro ad una struttura di cemento, c’erano un gruppo di balordi in attesa di entrare in azione. Avvistano un gruppo di “romani”, verificano la loro intuizione con una semplice domanda: «Avete una sigaretta? ». I trenta entrano in azione inseguendo i 4 ragazzi romani. Antonio incespica, o forse viene fatto cadere, è difficile ricostruire l’esatta dinamica dell’agguato. Viene raggiunto e massacrato per una trentina di secondi mentre è a terra. Quando arriva la polizia cerca di rialzarsi, è cianotico e respira a fatica, cade nuovamente a terra. Un agente fa un disperato tentativo di rianimarlo con la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco. Arriva l’ambulanza ma la corsa al San Carlo si rivela inutile. Quando si diffonde la notizia il Milan decide immediatamente di annullare l’esposizione della Coppa dei Campioni vinta.



La stragrande maggioranza dei tifosi milanisti è basita, esattamente come quelli giallorossi. Qualche imbecille, però, si trova sempre. Gaetano Giuffrè, meglio conosciuto come “Coca Cola” raccontava: «Quando morì De Falchi stavo in Tribuna d’Onore dietro a Dino Viola, posto mio abituale in trasferta, su consiglio di Ettore Viola, da quando il senatore era stato preso a calci a Torino. Un signore in giacca e cravatta, alle mie spalle, saputa la notizia dell’annullamento dell’esposizione della Coppa, arrabbiatissimo disse: "Eh, per un cazzo di marocchino che è morto non ci fanno vedere la coppa". Quella fu l’ unica volta che persi il lume della ragione: presi quel signore per la cravatta e cercai di tirarlo giù, con un amico che mi teneva il braccio. Gli dissi: "Bastardo! Ma cosa gli insegni a tuo figlio che sta magari in curva! Ad ammazzare le persone?". L’amico mi convinse ad andarmene e mi misi su uno scalino da parte, con le mani che mi tramavano. Quando ebbi l’occasione di parlare con l’ingegner Viola, gli dissi: "Presidente, mi deve scusare, purtroppo ho perso la calma; stavo dietro di lei, avevo avuto il biglietto, ho sbagliato". «Si hai sbagliato due volte». «Purtroppo lo volevo menare … ». «E’ lì che hai sbagliato la seconda volta: non lo hai fatto!». Sono passati 23 anni ma quel “perché?” è sempre lì.