07/06/2012 11:50
Era stato Zednek Zeman a indurre Arrigo ad una riflessione, a un riesame del suo dogma, fino a cancellarne alcune certezze e a riempire la vigilia di Usa 94 con nuovi dubbi. Il boemo aveva appena concluso la sua ultima stagione di Foggia, portando la squadra a un passo dalla zona-Uefa. Il calcio di Zeman era sfrontato come lo è ancora oggi e il contagio era forte. A un innovatore come Sacchi non poteva sfuggirne il senso, anche se il suo obiettivo finale era diverso: come Zeman voleva segnare un gol più degli altri, però senza mai perdere lequilbrio. Per quella ragione Beppe Signori, giocatore che Zeman aveva costruito come esterno sinistro nel suo tridente foggiano e che quellanno, nella Lazio, aveva vinto la classifica dei cannonieri, rinunciò alla finale: si sentiva (lo era) un attaccante vero non un esterno sinistro che doveva riempire la fascia con la corsa per garantire un assetto sempre equilibrato.
Dopo un paio di amichevoli premondiali, Sacchi tornò al 4-4-2 e raggiunse la finale di Los Angeles, persa contro il Brasile ai calci di rigore, ma quel tentativo di 4-3-3 rimasto inespresso è ancora oggi un suo rimpianto. Arrigo ha smesso da tempo di allenare, consumato dallansia e dalla frenesia. Il boemo invece continua la sua strada, con la flemma e i silenzi di allora. Sembra rinascere ogni volta che ha in mano una squadra di promesse, una squadra che poi si realizza nelle sue mani. Ancora oggi è il maestro di quel gioco e, come dice Prandelli, «chi vuole imparare il 4-3-3 vada a vedere le squadre di Zeman»