Destro da ko, vince ai punti

26/07/2012 09:55

E pensare che quando giocava nelle giovanili dell’Inter i fenomeni erano sempre gli altri, a cominciare da Davide Santon, pupillo di Josè Mourinho e in Nazionale a diciotto anni grazie a Marcello Lippi, mentre , nonostante i dieci gol sotto età con la Primavera, non rimediava neanche una convocazione in prima squadra. A volte la vita sa essere ironica: oggi Santon viene intervistato perché racconti com’era giocare con . Campione d’Italia ancora con gli Allievi di Bernazzani, stavolta battendo l’Empoli: l’1-0 porta la firma di Obi, ma tanto Mattia aveva già fatto in tempo a lasciare il segno in quelle finali chiuse da capocannoniere con cinque gol in quattro partite. Solo pochi mesi prima, con i diciassette anni ancora da compiere, aveva festeggiato con la Primavera la conquista del Torneo di Viareggio, la finale era sempre con l’Empoli, si arrivò ai rigori e fu proprio il più piccolo di tutti a presentarsi per primo sul dischetto. Dieci gol nel primo anno di Primavera, diciannove nel secondo, quanto basta per laurearsi capocannoniere lasciandosi alle spalle proprio tutti, incluso un certo Ciro Immobile, quello che adesso nel si prende la maglia che è stata sua. Numeri che però non bastarono a convincere l’Inter a trattenerlo: prestito con diritto di riscatto al nell’ambito dell’affare che portò Ranocchia a Milano.

Doveva crescere all’ombra di Luca Toni, segnò all’esordio in Serie A e pazienza se quell’exploit non evitò ai rossoblù di farsi rimontare dal Chievo. Chi conosceva Mattia sapeva già come sarebbe andata a finire. Quello che nessuno immaginava è che l’Inter lo lasciasse al alla scadenza del prestito. «Vorrei riuscire a far ricredere tutti quelli che non hanno creduto in me» ammetteva qualche mese fa, quando nel Siena il suo score non era ancora arrivato a dodici reti. Può dire di esserci riuscito, anche se all’Inter non ha mai pensato davvero di tornarci, neanche quando sembrava che Moratti in persona volesse riportarlo in nerazzurro, forte di un rapporto privilegiato con il che proprio la cessione di aveva contribuito a consolidare. «Hanno già tanti attaccanti e io ho bisogno di giocare» spiegava parlando del suo futuro giusto un paio di mesi fa.

Alla fine ha vinto la Roma, che in fondo nel suo destino c’era già: a Trigoria lo avevano seguito con una certa insistenza quando aveva quattordici anni e giocava sotto età con i Giovanissimi Nazionali dell’Ascoli. Bruno Conti fece di tutto per portarlo alla Roma, parlò con il padre Flavio (ex difensore con 142 presenze nell’Ascoli) che avrebbe voluto una panchina nelle giovanili. Non la ottenne, arrivò l’Inter e Mattia andò a rinforzare il gruppo che fra 2006 e 2009 havinto tutto. Successi conquistati grazie a qualità tecniche notevoli (calcia indifferentemente con entrambi i piedi, sa farsi valere nel gioco aereo e quando va via in velocità è difficile fermarlo e anche buttarlo giù), ma anche a un gran carattere. Sorridente, sguardo azzurro e guizzante, è uno a cui è difficile non volere bene, un po’ per la battuta pronta e un po’ per quell’accento ascolano che è il suo marchio di fabbrica. Festeggia i gol ballando con la bandierina del calcio d’angolo e nel Siena ci aveva messo poco a contagiare anche motli dei compagni di squadra.

Nella Roma sperava un po’ di poter ritrovare , l’amico di sempre con cui però riesce a giocare soltanto in azzurro: «Fosse la volta buona...» scherzava. Estroverso quanto è silenzioso, Mattia è uno di cui gli allenatori hanno sempre detto che ha margini di miglioramento enormi. «Per questo allenarlo è una cosa che può dare grandi soddisfazioni» ha detto di recente Serse Cosmi, che pure sapeva che non lo avrebbe avuto a disposizione ancora per molto. Anche per questo Zeman lo ha voluto così fortemente. Il suo biglietto da visita a Roma l’ha lasciato segnando un gran gol alla Lazio proprio all’inizio del 2012, ma a ben guardare da queste parti aveva già dato spettacolo ai tempi in cui Mourinho non lo vedeva nemmeno. Gennaio 2010, amichevole Italia-Turchia Under 19 a Latina: nell’unidici titolare di Piscedda ci sono tre romanisti (Crescenzi, Brosco e D’Alessandro), ma a sbancare è l’allora centravanti dell’Inter, tre gol uno più bello dell’altro, tanto da far passare in secondo piano perfino l’esordio in nazionale del nipote di Boniperti. Se ci riesci non puoi essere uno come gli altri.