Problemi di ambientamento?
«Contrariamente a quanto si è detto, con i giocatori inglesi io comunicavo senza problemi. Discorsi facili, emotivi, da spogliatoio, ma non avevo bisogno dell'interprete. Qui invece ogni mia parola dev'essere tradotta, e non è comodo. Anche per reazione, a differenza dei miei predecessori che andavano e venivano, io ho scelto di vivere a Mosca, che poi è una città stupenda. Sto scegliendo una casa in affitto».
Lei è giustamente soddisfatto del lavoro di Spalletti a San Pietroburgo, ma al Milan ne sono molto meno entusiasti. Qual è la vera testa di serie del loro girone di Champions?
«Non riesco ancora a valutare la forza del Milan dopo la perdita dei due giocatori migliori, ma è fatale che ne risenta parecchio. I giovani... Come sta Boateng? Lui sarà un fattore importante, e aggiungo che De Jong è stato un buon acquisto. Direi che Allegri deve a tutti i costi partire bene in casa con l'Anderlecht, perché i belgi lontano da Bruxelles perdono parte delle loro qualità, e poi andare a San Pietroburgo usando molta cautela».
Che tipo di ambiente troverà?
«Uno stadio piccolo e strapieno, un buon terreno e la temperatura dell'ottobre russo, perfetta per giocare. Il problema è che troverà anche uno Zenit che dà sette giocatori alla mia nazionale, che si è appena rinforzato con due campioni come Hulk e Witsel, e cui Spalletti ha dato un'identità tattica molto evoluta. Voglio dire che la difesa del Milan si troverà una sola punta da marcare, Kerzhakov, ma quattro o cinque incursori capaci di lanciarsi in area tutti assieme. Ed è tutta gente di qualità».
La sensazione è che preferisca non dirlo, magari per vecchio attaccamento alla bandiera, ma che ritenga lo Zenit superiore.
«Ripeto: il Milan deve affrontare il girone con umiltà e cautela, senza pensare che il fatto di essere uscito dalla prima urna costituisca un titolo di favore. Anche il Malaga è pericoloso. Non ha i grandi giocatori di Real e Barcellona, anzi ha perso Cazorla, ma Pellegrini ha fatto memorizzare alla squadra quel tipo di gioco spagnolo basato sul possesso palla che fa soffrire le italiane».
Quindi Milan qualificato al quanto per cento?
«Milan che si può qualificare, ma a patto di essere molto bravo».
Per la Juve sarà meno complicato?
«Dovrebbe. Lo Shakhtar è un'avversaria noiosa, ma meno forte, mentre con i danesi basterà non distrarsi. Mi piace quel debutto in casa dei campioni in carica. Il Chelsea è cambiato, ha più personalità rispetto all'anno scorso, e almeno in campionato Di Matteo è ripartito bene. Anche per fugare il fantasma di Guardiola. In Supercoppa, però...».
L'ha colpita Falcao, azzardiamo.
«Allora, lo scorso giugno vengo invitato a Bogotà per una partita benefica: devo guidare una rappresentativa del Resto del Mondo opposta agli Amici di Messi. Ho il tempo di un breve allenamento il giorno prima, e il mio centravanti è Radamel Falcao. Bene, in tutta la mia carriera soltanto un giocatore mi lasciò un'impressione superiore al primo sguardo, e fu proprio Leo Messi la sera del Gamper contro la mia Juve. Falcao è un attaccante grandissimo, oggi sicuramente il numero uno».
Torniamo alla Juve. Si è fatto un'idea dei problemi giudiziari di Conte?
«È un argomento che preferisco non toccare. Da lontano si giudica male, e poi sono troppo amico di Andrea Agnelli».
Ritiene la Juve favorita in Italia a prescindere dai guai del suo tecnico?
«Sì, il vantaggio in partenza è netto perché non solo Conte ha costruito un meccanismo che funziona bene, ma a quel meccanismo sono stati aggiunti pezzi di valore. La Juve è candidata a succedere a se stessa in Italia, e le sue rivali principali mi sembrano Napoli e Roma più delle milanesi».
Non la convince neanche l'Inter?
«Non è che Milan e Inter non mi convincano. È che un ricambio generazionale così pronunciato richiede tempo per venire assorbito. Le milanesi hanno iniziato un cammino, vediamo con quale determinazione sapranno percorrerlo. Prendiamo Stramaccioni: penso che Moratti l'abbia scelto non perché sia giovane, che sarebbe assurdo, ma perché è bravo. Adesso lo sostenga, però, perché anche il più talentuoso dei tecnici, ma vale per ogni lavoro, per crearsi un'esperienza deve poter sbagliare senza che sia un dramma».
«Il Napoli è pronto all'ultimo salto, ha tutto per compierlo a partire da Cavani. La Roma ha qualcosa di meno, ma per esperienza personale posso dire che si tratta della piazza con le maggiori potenzialità di crescita. La gente dell'Olimpico chiede soltanto la libertà di entusiasmarsi, e Zeman in questo senso è una garanzia, dove va lui ribolle tutto».
Torniamo a parlare di Champions? Lei è un ex non soltanto di Milan e Juve...
«... ma anche della vera favorita, il Real Madrid. Una rosa pazzesca, credo la migliore di sempre. Venti giocatori fortissimi e intercambiabili. Lo vedevo favorito già l'anno scorso, figuriamoci adesso».
Dispiace anche a lei che il confronto tra Mourinho e Guardiola salti almeno un anno?
«Sì. Parliamo di due grandi allenatori. A me Mourinho piace molto perché è solido, concreto, pragmatico, plasma la squadra a seconda dei giocatori che ha a disposizione e ne trae sempre il massimo. In più, si percepisce quanto sia un ottimo psicologo da spogliatoio. Guardiola, pur avendo iniziato giovane, ha fatto una cosa perfino superiore: ha inventato, e nel calcio è difficilissimo. La capacità del Barcellona di recuperare palla con il pressing alto nella zona d'attacco è qualcosa che non esisteva, almeno non così perfezionata. Nasce dall'intuizione, a suo modo geniale, che i difensori palleggiano peggio dei centrocampisti, e quindi hai maggiori possibilità di recuperare palla attaccando loro».
«I migliori undici contro i migliori undici fanno match pari. Se ci si affida alla panchina, vince il Real».
Ci sono altre rose paragonabili?
«Quella del Manchester City, soprattutto da centrocampo in su. È un paradosso che Real-City sia la prima partita, per me è una possibile finale».
E veniamo a parlare dei tecnici italiani, sempre più dominanti in giro per il mondo...
«Mancini ha fatto una grande cosa l'anno scorso perché al di là del rocambolesco finale, e parlo sia dei minuti di recupero dell'ultima giornata che degli otto punti persi dallo United in un mese, il City ha meritato di vincere la Premier. Ha giocato meglio. L'acquisto di Van Persie da parte di Ferguson ridiscute però le gerarchie, perché l'olandese è uno che segna tanto, e si è visto subito. In più Mancini ha perso De Jong, e non è arrivato il sostituto che voleva».
Ancelotti sta faticando un pò a mettersi in moto.
«Carlo è in una botte di ferro. Avrà bisogno di tempo per assemblare una squadra così nuova, ma nel frattempo non esiste un risolutore di problemi come Ibrahimovic. Lo so bene, fui io a farlo prendere alla Juve. Ibra ti porta i punti ogni domenica, e intanto tu costruisci il gioco. A primavera, quando sarà completato, il Paris St.Germain potrebbe essere competitivo anche in Champions. Come lo Zenit di Spalletti, se Hulk e Witsel funzionano. E come la Juve, perché no?».
Ultimo argomento, l'addio di Del Piero. L'Australia è una scelta d'avanguardia o di resa?
«È una bella idea per un ragazzo deciso a conoscere il mondo. Via dalle balie casalinghe, non mi stanco di ripeterlo, è così che stiamo crescendo, noi italiani del pianeta calcio. È così che siamo diventati ovunque i professionisti più ricercati».