17/09/2012 11:22
Sembrava lincrocio fra una barzelletta da cinepanettone e un atto osceno in luogo pubblico. Siccome però nel calcio si oppongono sempre due forze, le nefandezze delluna si trasformano nella gloria dellaltra. Nella sua gioia. Per unora abbondante Gilardino aveva giocato da amatore, latitando appesantito. Ha approfittato di due anestesie della difesa giallorossa (colpevoli i già citati Burdisso e Stekelenburg, ma anche Castan e Piris) per elevarsi a matchwinner con un gol di qualità e uno di rapina (che è solo un altro modo di mostrare qualità). Suo anche lassist per il 2-2 di Diamanti. Il Bologna ha avuto il merito di crederci. A immagine e somiglianza del suo centravanti, è apparso quando la Roma ha deciso di scomparire.
Nellintervallo Pioli aveva inserito Pazienza e Pulzetti. Ammetterà Gilardino: «Contro una Roma che andava a 2000 allora si poteva fare davvero poco». Ma non è né merito di Pazienza, pur diligente, né di Pulzetti, pur più vigoroso di Guarente, se nel secondo tempo, abbassandosi apparentemente senza motivo, impaurita dalle ombre, la Roma ha optato per la crocifissione. O forse un motivo cè: e allora in questo caso è sia fisico, troppo rapidi nella prima mezzora, che psicologico, pochi giocatori di personalità in mezzo al campo quando la personalità serve come il pane per gestire il risultato.
Quando hanno giocato alla stessa velocità la Roma ha perso e il Bologna ha vinto. Dallillusione alla depressione il passo giallorosso è doloroso e maledettamente breve. Un trionfo non tira laltro. Un trionfo prelude solo a un fallimento durante il quale si subiscono tre gol a difesa schierata. Zeman: «Credevamo di aver già vinto e invece la maggior parte di noi non è abituata a vincere. Forse solo Totti». Nemmeno Zeman, direbbero i maligni. Osvaldo, De Rossi e Bradley non erano disponibili. Così il boemo ha vissuto, colpevole e imbarazzato almeno quanto i suoi, il progressivo ridursi del possesso palla, lo smarrimento progressivo di energia e fiducia: «Non cercavamo più le giocate». Fantastici nella prima parte, Totti e Florenzi (ma anche Tachtsidis) sono calati perché, onestamente, non cè nessuno che possa durare a certi ritmi. Qualcuno non aveva mai reso (Pjanic). Gli errori clamorosi della difesa sono figli di questa doppia identità: spumeggiante e contratta.
Ci sarà tempo e modo per recuperare, ma intanto gli animi sono già esacerbati e Lazio, Juve e Napoli sono già altrove. Nel cuore di molti tifosi sannuncia lennesima stagione di finti equilibri e di montagne russe: con un colpo che riesce soltanto ai maghi consumati la Roma ha trasformato una partita vinta in una tragicommedia. È come se per 53 minuti, diciamo sino al possibile 3-0, al miracolo di Agliardi sul colpo di testa di Totti (8 st), avesse recitato Catullo e nei restanti 40 avesse biascicato latino maccheronico. I gol di Florenzi e Lamela prima del raptus (6 e 15 pt) sono già dimenticati. O saranno ricordati alla rovescia: per aver innescato la miccia di un inatteso disastro