Derby Allievi, Tovalieri: «Sarà spettacolo. E se li battiamo... Roma campione d’inverno!»

30/11/2012 09:42

Un derby è sempre un derby, in qualunque categoria lo giochi. Parola di romano de... Ardea.

«Assolutamente sì, questo dice la storia. Poi è chiaro che partite di questo genere non hanno bisogno di essere caricate oltre quanto già non lo siano. La tensione già c’è, deve essere positiva, portare spettacolo in campo. E le premesse ci sono tutte»



Derby d’alta quota. Pesa?

«No. Ma è derby d’alta quota e questo conta tanto. Abbiamo lavorato bene, molto: noi e loro. Saremo più leggeri, forti ognuno del fatto proprio. E’ chiaro che noi ora li abbiamo scavalcati e vogliamo poter festeggiare laureandoci campioni d’inverno. Se vinciamo...».



I suoi derby di ragazzo?

«Atmosfere bellissime, uniche. E pensare che io la Primavera l’ho praticamente saltata per andare subito a giocare tra i professionisti. Però ho vinto un Viareggio: in quella squadra di Romeo Benetti c’era gente vera: Desideri, Di Mauro, Gregori, Righetti. Davvero un gruppo con grosse individualità. Basta andare a vedere le carriere che hanno fatto».

Invece da professionista il derby le è mancato.

«Sì. E mi è mancato davvero perché quella era la partita che cambiava il rapporto con la tua gente, secondo come andava a finire. Nel bene o nel male adrenalina. Poi sono andato in giro e i miei gol alla Lazio mi è capitato di farli. Ho vinto piccoli derby personali, diciamo così».



Che strano il suo rapporto con la Roma. Nell’82-83 una panchina a 16 la fa... sentire dentro quella favola da campioni d’Italia come Pruzzo, Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei, Falcao. Nell’85-86 torna a casa e vive, più da protagonista, con 22 presenze e 3 gol, l’incubo con il Lecce della Roma di Eriksson che lo scudetto lo perde clamorosamente. A lei le sensazioni...

«Beh, a 16 anni un sogno. Potevo mai pensare che Liedholm potesse rivolgersi ad un sedicenne come me con la squadra che aveva? Erano mostri sacri quelli là. E pensare che, con l’illusione dei sedici anni, quando già mi ero beato dei cori degli ottantamila dell’Olimpico mi venne un pensiero: “stiamo battendo il 3-0, forse entro e faccio due minuti”. Non successe, ovviamente...».

E l’incubo dell’86?

«Tornai a casa a vent’anni. E’ vero, giocai molto di più e sfiorammo un’impresa straordinaria. Avevamo meritato quello scudetto, lo perdemmo per una leggerezza, troppa convinzione, ancora non lo so. Lo perdemmo. Che amarezza».

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Cosa le piace della sua squadra?

«Il fatto che sia un gruppo e che faccia dell’impegno costante, nel lavoro settimanale e in campo, il suo punto di forza. C’è applicazione negli allenamenti, c’è voglia di aiutarsi in campo. Noi abbiamo qualità dei singoli e collettiva. Questo mi piace molto».

In cosa li vorrebbe migliori?

«Migliori per forza, hanno ancora margini. La gestione di certe fasi della partita deve essere diversa. Per esempio se vinci 5-2, come è successo a noi, non puoi metterti nelle condizioni di rischiare di essere raggiunti. Questa è la gestione».



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