Giannini: «E’ l’occasione del rilancio per De Rossi»

07/11/2012 10:22

(…) Tre foto invece possono raccontare una carriera: un gol, un rigore sbagliato, tre dita agitate per rivendicare una vittoria. Non può essere un caso se tutte le immagini riconducono a quella partita. Tre match diversi, per dire che il derby è uno, uno solo. E racchiude tutto: gioie e sofferenze, amori spezzati, compromessi, rinsaldati. Con il derby si chiude, con il derby si ricomincia.



Il Giannini allenatore giura che oggi sarebbe in grado di domare le emozioni: «Perché tra viverlo in calzoncini o in pantaloni corre una bella differenza» .

Ma allora è vero che vale pur sempre tre punti? «Sì. Se non sei romano e non vedi giallorosso» .

Giannini, che cosa è il derby?

«In una parola, è passione».

Qual è stato il suo derby?

«Preferisco scegliere tre foto, che in fondo raccontano anche la mia carriera. Ce n’è una in cui segno il gol dell’1-1 al Flaminio. Un’altra in cui sbaglio il rigore del possibile pareggio nel marzo del ‘94. E infine quella in cui festeggio il 3-0 con Mazzone».

Inutile quindi chiederle qual è stato il più brutto.

«Arrivavo da una settimana poco serena, mi trascinavo dei problemi fisici e anche mentalmente non ero nella condizione ideale. L’errore dal dischetto fu una conseguenza».

Tutti sanno delle sue notti insonni prima dei derby.

«Quelli che mi separavano dalla partita erano giorni critici. Cercavo di ingannare l’attesa guardando la tv, restavo in piedi fino a tardi, non mi riusciva di allentare la tensione».

Quella partita per lei non valeva semplicemente tre punti.

«Se sei romano – e se sei tifoso – il derby sarà sempre qualcosa di più grande. Ma per gli altri giocatori dovrebbe valere il discorso di Zeman: in palio ci sono tre punti».

Un avversario biancoceleste che temeva in modo particolare?

«Con tutto il rispetto, pur avendo affrontato grandi campioni, non ho mai pensato agli altri. Il mio avversario viveva dentro di me e devo ammettere che spesso non sono riuscito a domarlo: il mio obiettivo era rimanere sereno e fare il mio compito, ma arrivavo troppo carico, la voglia di spaccare il mondo si tramutava in ansia e solo negli ultimi anni sono riuscito a conservare in campo l’equilibrio».

Petkovic contro Zeman: che sfida sarà?

«Il nuovo contro il maturo. Il boemo sa cos’è il derby, per l’allenatore della Lazio invece è tutto da scoprire. Fattori all’opposto, difficile prevedere come influenzeranno il match».

Chi deciderà la stracittadina?

«Chi sarà più freddo ed equilibrato. La Lazio in avvio di stagione ha dimostrato di avere queste caratteristiche. La Roma ha fatto un grande passo in avanti con il Palermo. Credo uscirà fuori una bella partita».

Lei è stato il capitano di una Roma per cui la supremazia cittadina tante volte valeva una stagione. E’ d’accordo?

«In parte. Abbiamo lottato anche per traguardi più importanti. Ma è inutile nasconderlo, mi sarebbe piaciuto iniziare un’annata con una rosa favorita per lo scudetto».

Di momenti delicati lei ne sa qualcosa. Cosa significherà questo derby per ?


«Può essere decisivo, può ribaltare gli umori. Il suo e quello dell’ambiente. E’ l’occasione per darsi una scossa, per reagire e dimostrare una volta ancora quanto vale. Se fossi l’allenatore glielo direi alla romana. Sia Zeman sia da domenica possono ripartire per un nuovo cammino, più lungo possibile. Spero che il tecnico gli dia una chance e che Daniele – ora parlo da tifoso – riesca a coglierla al volo».


Prima della separazione, nel pieno della sua attività, è mai stato tentato di lasciare la Roma?

«Un anno c’è stata la possibilità di andare via, la Samp e la erano alla ricerca di un centrocampista e pensarono a me. Io tutta quella situazione l’ho vissuta in modo distaccato, perché in definitiva contava solo il mio desiderio e se avessero trovato un accordo con la Roma comunque sarebbero dovuti venire da me».


E avrebbe risposto “Roma” ?

«Roma e basta».

Da allenatore cosa direbbe ai suoi prima di un derby?

«Se allenassi un Giannini gli direi di circondarsi di persone che lo aiutino a distrarsi. Un amico, un compagno di squadra. Penso che oggi mi sentirei pronto per viverlo serenamente e per trasmettere calma. Tra una sfida in pantaloncini e una a bordo campo corre una bella differenza».

Ormai è senza panchina da un anno. Perché?

«Non lo so, me lo chiedo anche io, spero non sia una questione di carattere e di etichetta. Io ho la mia personalità, ma non ho grandi sponsor. D’altronde non li ho avuti neanche da calciatore…».

In questo periodo ha ricevuto offerte?

«Sì, ma mai quella giusta. In passato ho commesso degli errori per la smania di partire e dimostrare il mio valore. Oggi non allenerei una squadra priva di forza economica e strutturale. E non mi riferisco alla possibilità di fare un mercato da paperoni. Ho allenato in club dove non c’erano soldi e campi. La serenità per un tecnico e il suo staff è importante: se la baratti, alla lunga paghi il conto».

Giovani alla riscossa: prima il fenomeno Villas Boas, poi Luis Enrique, ora Montella e Stramaccioni. Certe resistenze ormai sono cadute.

«C’è un’apertura per i giovani, ma non per tutti. Gli sponsor, come dicevo, ancora contano».

Quale calcio si avvicina a quello di Giannini?

«Quello intenso e spensierato al contempo, intelligente e fantasiosio. Mi piacciono le squadre che recuperano il pallone con ferocia e attaccano. La c’è riuscita spesso».


Ha pensato ad un’esperienza all’estero?

«Non la disdegno, ma mi piacerebbe misurarmi in serie A».

Dove vedrà il derby domenica?

«Sarò ospite in tv, ma una parte di me sarà sugli spalti».

E lo vivrà con un pizzico di nostalgia, invidia o sollievo?

«Lo vedrò con lo sguardo critico di un tecnico. E lo vivrò con il cuore del tifoso che è in me»