02/11/2012 08:09
Avanti così, dunque, perché non cè altra strada percorribile per tirarsi fuori dai guai. Tra laltro i dirigenti giallorossi non vogliono darla vinta a chi, dentro lo spogliatoio, non crede nel sistema di gioco di Zdenek. Che conosce chi non è entusiasta del suo calcio: ha una lista dettagliata davanti agli occhi. Sono a conoscenza delle perplessità del gruppo anche gli avversari, ultimi quelli del Parma. Alcuni giocatori della Roma si sono sfogati con qualche calciatore di Donadoni, a fine gara, per confessare i dubbi sul destino della squadra in questa stagione.
La posizione del club giallorosso è chiara: nessuno prende le distanze da Zeman in pubblico. Anzi fanno sapere di essere compatti al fianco di Zdenek. Baldini, però, è critico da tempo, e Sabatini non è più sicuro come qualche settimana fa. Solo Fenucci, anche in privato, non cambia idea, certo che il boemo prima o poi riuscirà a imporre il suo credo. Il giudizio della piazza, spaccata rispetto allunanimità (o quasi) di cinque mesi fa quando il tecnico di Praga tornò a Trigoria dopo tredici anni, non è secondario. Potrebbe, a giorni o nelle prossime settimane, influenzare il management. Perché, dopo il campionato di B vinto con il Pescara, Baldini, Sabatini e Fenucci decisero di puntare sul boemo proprio per creare entusiasmo tra i tifosi delusi dalla prima annata allamericana. Se la gente farà sapere di non essere più contenta di questo allenatore, il divorzio sarà inevitabile.
La Roma è insomma prigioniera di Zeman, difeso mercoledì sera da Totti in diretta tv. Di sicuro la presa di posizione del capitano può solo aver fatto piacere alla società che lo ha spinto a esporsi. Perché se il giocatore più rappresentativo parla, per la verità non a nome dei compagni, e dice che basta seguire il boemo per buttare alle spalle la crisi e risalire la classifica, i dirigenti possono solo ringraziarlo. Niente di nuovo a queste latitudini. La faccia, quando cè da usarla per coprire errori e fallimenti, è da anni sempre la stessa. Fortunatamente solare. Bellissima. Del campione più amato. La strategia resta la stessa. La rivoluzione culturale è nella romanità del numero 10: aiuta, sempre e comunque, a nascondere i peccati. Degli altri, non i suoi.
Si può dare, volendo, la colpa solo a Zeman. Perché la fase di non possesso palla della Roma è da dilettanti allo sbaraglio, perché la posizione in classifica, a 8 punti dalla zona Champions e a 6 dalla zona retrocessione, è deprimente, perché le 19 reti subite in 9 partite (la decima, contro il Cagliari, è lunica finita senza prendere reti: a tavolino, però, e non sul campo), perché qualche giocatore viene messo fuori ruolo, perché qualche capitale è stato già svalutato, perché gli avversari dei giallorossi si divertono più dei tifosi della Roma. Se il responsabile del flop è solo il tecnico basta poco per voltare pagina. Si caccia e via. Se va male contro il Palermo. O dopo il derby, anche se ufficialmente una scadenza non cè.
La proprietà Usa, severa nel giudicare la scelta sbagliata del secondo tecnico della nuova éra (due su due: mira infallibile), lascia libero il management italiano di perseverare. Non lo bloccherebbe, se cambiassero in corsa e non a fine torneo come accadde con Luis Enrique. Ma è difficile commettere un altro errore. Perché non hanno lallenatore. «Non cè», ripetono da giorni. Delio Rossi piace a Sabatini ma non alla gente. Colpa del passato laziale e del famoso tuffo nella fontana del Gianicolo che non diverte come quello di Pallotta nella piscina di Trigoria. Se ne troveranno uno, diventerà solo il traghettatore. In attesa di Allegri. Perché giovane e di prospettiva. Come lorganico costruito dalla dirigenza, spendendo 70 milioni al netto del cessioni. Per ora