Sacchi: "La rivoluzione culturale è solo all'inizio"

08/02/2013 10:54

Dall'alto della sua carica di coordinatore delle nazionali giovanili e avendo Maurizio Viscidi come vice, in poco più di due anni di lavoro Sacchi, con lo spirito del rivoluzionario che lo ha sempre contraddistinto, ha ribaltato schemi incrostati. La sua intuizione più felice lo ha portato a comprendere come, per una reale rinfrescata al nostro calcio giovanile, sarebbe stato fondamentale ricostruire in una duplice direzione, organizzativa e culturale. Così, giusto per citare alla rinfusa le novità introdotte da Arrigo con l'appoggio della Federcalcio, è stato aumentato il numero degli osservatori sul territorio. «Ogni fine settimana, anche con il contributo dei tecnici delle varie Under, siamo in grado di monitorare una cinquantina di partite» chiarisce l'ex ayatollah milanista. Sotto la gestione Sacchi è stata creata una nuova rappresentativa, la Under 15, il cui scopo è quello di abbassare l'età di reclutamento delle nuove leve calcistiche.

«Ma siamo ancora lontani dal traguardo. Serve infatti un lavoro uniforme con i club già a partire dai 12 anni e mancano corsi tarati su misura per gli allenatori delle giovanili». Sacchi e il suo team hanno anche ottenuto che il campionato Allievi fosse limitato ai soli club di serie A e di serie B e che venisse limata verso il basso l'età del campionato Primavera (ora il tetto è quello dei 18 anni). «Purtroppo manca l'ultimo scalino — si rammarica l'Arrigo —, quello delle seconde squadre. Oggi i giovani primavera vengono mandati in serie C dove non tutte le società sono organizzate come sarebbe necessario». Un altro passaggio chiave per un futuro stabilmente all'avanguardia è stato individuato nelle cosiddette academy, le strutture in cui si studia e si fa calcio. In Italia soltanto la ha la sua accademia. «Avendo anche la scuola all'interno, i ragazzi riescono a dedicare al calcio 18-20 ore di lavoro settimanale a fronte di una media di 6-7 ore».

La rivoluzione culturale sponsorizzata da Sacchi si traduce invece in un concetto che è di estrema sintesi ma anche di ampio respiro: «Vogliamo formare i giocatori più che cercare la vittoria». II punto di riferimento è il calcio totale visto che «il futuro non può prescindere dal concetto di collettività». Ormai le nostra nazionali giovanili disputano un centinaio di partite l'anno e i successi dell'altro giorno sui tedeschi costituiscono «un segnale importante». La Germania però, garantisce Arrigo, resta di una spanna superiore: «Ci siamo avvicinati ma non siamo ancora competitivi. I club collaborano, ci concedono di lavorare con i giocatori mediamente tre giorni al mese ma questa è soltanto una goccia. Per riempire la cisterna dovrà passare ancora tanto tempo».