18/02/2013 10:20
Con quelle due righe, mettendo in discussione le scelte di una dirigenza che ha più volte ricordato un boma sbatacchiato dal vento, Totti ha dimostrato che quando cè da prendere posizione, costi quel che costi, lui cè. Totti cè sempre per la Roma, la Roma intesa come ente emotivo, squadra e tifosi. Lui è una bandiera resistente come il telo dei pompieri sotto un edificio in fiamme. Difficile delineare un dopo senza di lui, che pure arriverà e saranno coltellate al cuore. Approfittando di qualità sconosciute ad altri, anche fisiche, sabato ha saputo caricarsi la squadra sulle spalle correndo per cinque e deliziando. Era una partita in cui teoricamente la Juventus si sarebbe potuta divertire camminando sui resti dei reduci dalla figuraccia di Genova, sullo Zeman usato e scaricato, sulle fragilità e sulle gaffe verbali di Andreazzoli.
Ma non avevano calcolato Totti. Ha giocato da padrone di casa e da campione, ha segnato il suo 10° gol a Buffon, decisivo, il suo 224° in serie A, il suo 279° ufficiale in carriera. Sabato Totti cera. Ma cera anche prima, quando era pronto a sacrificarsi per gli ideali del boemo finiti nel cassonetto di Trigoria. Più vicino ai 40 che ai 30, deve ancora sentirsi chiamare Pupone e se ne frega, scherza con se stesso, fa mari di beneficenza, è maniacalmente onesto («mi dispiace per il brutto fallo su Pirlo, ero felice che non si fosse fatto male»), non nasconde le sue colpe, lotta con i suoi cronici malanni, la schiena, le ginocchia, le caviglie martoriate e cerca continuamente di migliorarsi. Chi può dire altrettanto in questo calcio devastato da ipocriti e simulatori? In fondo ha segnato solo 21 gol in meno di Messi. Non ha mai preteso Palloni dOro. Eppure solo qualcuno in attività somiglia ai grandi come lui, perché lui è un grande calciatore. Vede la porta come un attaccante, fa assist come un n.10, parla poco. Totti, semplicemente Totti.