26/03/2013 10:01
Il Monaco è primo e sabato va a Nantes, contro la seconda: la promozione in Ligue1 è vicinissima?
«Calma, siamo sempre stati nei primi tre, ma in autunno non giocavamo così bene».
La chiave?
«Obbadi. A fine ottobre vincevamo 1-0 contro il suo Troyes in Coppa di Lega, poi è entrato lui e ha cambiato la partita. L'abbiamo comprato e ha cambiato anche noi».
In un'intervista lei ha detto: «Obbadi è il nostro Beckham». I compagni lo hanno preso in giro per tutto l'allenamento.
«Qui è così, l'approccio è al 100% più rilassato. Non come in Italia, dove la partita è il momento più tranquillo».
Il Monaco a quale squadra italiana assomiglia?
«Se ne facciamo un discorso di pressione, al Chievo».
L'Equipe ha scritto: «Ranieri è "Le Bricoleur" perché aggiusta tutto». In due regole, come si fa?
«Servono giovani con avvenire e anziani che non siano gelosi. Io al Chelsea ho avuto Desailly e Zola, al Valencia Carboni, Alain Roche e tanti altri».
E i giovani? Qual è stata la sua grande scoperta?
«Difficile... forse John Terry. Un giorno lo vidi con le riserve del Chelsea e dissi: "Diventerà capitano della nazionale". I miei titolari erano Leboeuf e Desailly, campioni di tutto con la Francia, ma cambiai. Stava fuori Leboeuf».
Terry aveva 20 anni. A quell'età Ranieri stava per passare alla Roma.
«Mi tesserò Helenio Herrera, dopo due provini. Giocai anche per Scopigno e Liedholm, poi chiesi di andare via».
E diventò allenatore, quasi mai per più di due anni nello stesso club. Perché?
«Perché una squadra al massimo non l'ho mai avuta. All'Inter, ad esempio, credo di essere stato l'unico allenatore per cui invece che comprare si è venduto».
È vero che Thiago Motta piangeva ogni giorno per andare al Psg?
«Sì, sapeva che il momento magico era terminato. Secondo me chi ha pensato che all'Inter fosse tutta colpa mia, non capisce di calcio. Però non parliamone, acqua passata non macina più».
E lei non ha mai sbagliato?
«Certo. Non sarei dovuto tornare a Valencia nel 2004 e neanche andare via nel '99: chiesi 2-3 rinforzi ma il club disse no, cambiò tecnico e vinse».
Alla fine di Chievo-Inter ha quasi pianto.
«Avevo gli occhi lucidi per il gol di Milito: usciva da un periodo nero. Piansi anche dopo la vittoria in Arsenal-Chelsea del 2004, nei quarti di Champions. Ci battevano sempre».
In Inghilterra ha rischiato di tornare col Wba.
«Vero, ma a maggio ho quasi scelto il Qatar. Era tutto fatto, poi è arrivato il Monaco. Per il prossimo mercato sento un sacco di nomi, anche Tevez. Ma non ci credo».
Il presidente Rybolovlev è molto particolare: è ricchissimo e non si fa quasi mai vedere. Con lei parla?
«Ci incontriamo una volta a settimana. Parla solo russo e, vero, non ama mostrarsi. Ma vuole portarci in Europa».
Il principe Alberto non ha protestato quando lei ha detto ai giocatori «o vincete o vi ammazzo»?
«Via, non potendo parlare in italiano non posso esprimere tutti i concetti: ho detto "I kill you" per farmi capire. Si sono messi a ridere tutti».
I giocatori?
«No, i giornalisti. I giocatori un po' meno. Loro lo sanno, dico le cose due volte. Alla terza, caro mio, se non capisci...».
Funziona?
«Nessuno mi ha mai giocato contro. Mai. Qui però sono speciali, c'è questa usanza per cui a inizio giornata ci si dà la mano. È tutto uno stringere».
Allora stretta di mano di fine intervista. Un ultimo desiderio: tornando a Dante, ci dice quali calciatori manderebbe all'inferno o in paradiso?
«Nooo, neanche sotto minaccia».
E un suo desiderio?
«Vorrei allenare una nazionale, un giorno».