Franco, Mancini, Paulo Sergio e Sensi

07/06/2013 10:41

IL ROMANISTA (P.A. COLETTI) - Una storia d’amore che dura da 32 anni. Come i migliori amanti Franco Baldini e la Roma si sono incontrati, cercati, innamorati e lasciati più volte. Il primo contatto tra l’ormai ex e la società giallorossa risale all’8 novembre del 1981. All’Olimpico si gioca Roma-. In campo per la Roma ci sono Tancredi, Nela, Falcao, Conti e Pruzzo. Dall’altra parte Franco Baldini. A inizio ripresa Burgnich, allenatore bolognose, sostituisce Tinti con un giovanissimo Roberto Mancini. Al 56’ si materializza quello che, riletto oggi, potrebbe sembrare un segno del destino: Falcao perde palla a centrocampo, Colomba serve Baldini che sforna un ottimo assist a Mancini che con un pallonetto batte Tancredi. La cronaca ci racconta di una partita vinta dai giallorossi per 3-1, grazie al gol di Conti e alla doppietta di Pruzzo, di un retrocesso a fine campionato e di una Roma terza dietro a e . Ma in quel pomeriggio di 32 anni fa due protagonisti inattesi stupivano l’Olimpico. Franco Baldini che serve assist a Roberto Mancini. E se la storia oggi si ripetesse?

Dopo quella partita nel novembre dell’81 Baldini e la Roma non si sono più sfiorati per 16 anni. È l’estate del ’97 quando il giovane dirigente toscano, all’epoca talent scout, si avvicina a Franco Sensi per proporre Paulo Sergio. Al presidente piace il brasiliano del Leverkusen e lo acquista per 6 miliardi di lire, ma a Sensi piace soprattutto Baldini e lo assume come consulente esterno di mercato. Sono gli anni di Zeman. Nel ’98 Sensi lo inserisce nei quadri dirigenziali della società promuovendolo a direttore sportivo. L’estate del ’99 a Roma arriva Capello che con Baldini costriruirà una carriera, spesso vincente. Dopo il sesto posto in campionato e lo scudetto vinto dalla Lazio, Baldini, Sensi e Capello si rendono conto che l’ambiente ha bisogno di una scossa. Il direttore sportivo regala all’allenatore campioni come Batistuta, Samuel ed che consentono ai giallorossi di vincere il 17 giugno 2001 il terzo scudetto della storia. Una vittoria che fa entrare il dirigente nel cuore di tifosi, allenatore e presidente. Negli anni successivi la Roma sfiora lo scudetto due volte e Baldini porta a Roma giocatori come Amantino Mancini, scoperto in Brasile e preso a zero euro, Chivu e Mexes. Proprio l’acquisto del difensore francese, che per alcune irregolarità blocca il mercato giallorosso per due sessioni, e le condizioni di salute di Franco Sensi che lo inducono a lasciar spazio alla figlia Rosella, sono i primi elementi di rottura con l’ambiente giallorosso.

Già nella primavera del 2004 Baldini e Capello si spendono in prima persona per tentare di convincere il magnate russo Kerimov ad acquistare la Roma da Sensi, sempre più in difficoltà economiche. L’estate del 2004 segna il tradimento di Capello, andato alla dei nemici Moggi e Giraudo, e la scelta, tutta di Baldini, di prendere Prandelli come nuovo allenatore. I problemi personali del tecnico lo portano alle dimissioni e la scelta di Voeller come sostituto è ancora una volta fatta dal direttore sportivo. Anche il tedesco volante non regge più di un mese e a quel punto a Baldini viene imposta la scelta di Delneri.



Il 2 novembre del 2004 Franco Baldini presenta per la prima volta le dimissioni che vengono però respinte
. La frattura insanabile tra il dirigente e la società si deve soprattutto al fronte politico. Baldini con le interviste in tv che preannunciano gli scandali di calciopoli si allontana da Moggi e Galliani. Tutto questo mentre i Sensi decidono di votare proprio l’ad del Milan come presidente di Lega. Una crepa decisiva che il 24 marzo del 2005 porta Baldini a dimettersi irrevocabilmente. Questa volta la Roma le accetta benvolentieri, salutando il dirigente chiamandolo «un consulente di mercato». Baldini resta fermo un anno, poi nel 2006 raggiunge l’amico Capello al Real Madrid. L’anno dopo segue il tecnico friulano alla guida della nazionale inglese. Incarico che lascia il 19 ottobre del 2011 quando decide di abbandonare tutto e tornare al suo grande amore: la Roma. Torna per attuare quella rivoluzione che prima gli era stata negata, ma si accorge presto che il terreno a Trigoria non è poi così fertile.

Si è dimesso dopo 19 mesi, quando si è reso conto di non poter più contribuire alla causa giallorossa. Un addio per prendersi le responsabiltà di tanti errori, non solo suoi, commessi in queste due stagioni. A cominciare da quelle frasi iniziali sulla pigrizia di («Me ne sono pentito, era un atto di amore e non una critica») fino alla scelta degli allenatori: Luis Enrique («Un meraviglioso errore») e Zeman («Non è stata una scelta giusta, ma volevamo proporre spettacolo»). Da ieri la sua storia d’amore con la Roma è finita. E chissà se quest’addio sarà un assist, come 32 anni fa, per Roberto Mancini.