Le calunnie e le bandiere

20/06/2013 16:38



ha giocato
418 partite ufficiali con la maglia della Roma e segnato 47 gol, ha vinto due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana, ha fatto tutta la trafila dalle giovanili alla prima squadra, è il romanista con più presenze in nazionale e più gol segnati, è stato campione del Mondo, vicecampione europeo, campione europeo under 21 e medaglia di bronzo all’Olimpiade di Atene 2004.



, secondo una fetta di tifosi giallorossi, che da piccola si è fatta via via più grande, dovrebbe andarsene dalla Roma, liberarla dal suo impegnativo contratto (10 milioni lordi a stagione, più incentivi, fino al 30 giugno 2017) e fare spazio a
, che sarà sicuramente un grande giocatore ma che nella nazionale del Belgio (non stiamo parlando di Spagna o Brasile) ha giocato quattro partite, tutte amichevoli.




Ogni opinione è lecita e non c’è dubbio che l’ultima stagione di , come quella di molti altri romanisti, sia stata al di sotto della sufficienza. Resta però da capire perché quello che dovrebbe essere un simbolo, adesso, è considerato un peso. Dalla nazionale, impegnata nella Confederation Cup, ha parlato chiaro: «In azzurro non dico di essere considerato una stella, ma un giocatore molto importante. A Roma devi stare attento a come ti muovi o a quello che dici perché ti vengono attaccate addosso delle etichette vergognose!»




«Chi calunnia è peggio di chi fa la spia. E a Roma si vive anche di certe calunnie». Quali? In ordine sparso: guadagna troppo e non rende in campo; in nazionale si impegna di più; una volta era Capitan Futuro ma adesso beve ed è capitan Ceres; è un mangia-allenatori e l’ultima sua vittima è stata Zdenek Zeman; si allena quando vuole; più che a giocare pensa a frequentare i suoi amici attori…



I tifosi di moltissime squadre, probabilmente tutte, usano spesso il termine «mercenario» riferendosi ai calciatori che, pagati, non condividono la loro «fede» che è invece disinteressata e, anzi, costa loro i biglietti allo stadio o l’abbonamento alla pay tv, oltre che l’ulcera per le sconfitte. Risulta comunque difficile capire come si possa essere arrivati a questo punto con un giocatore che non ha vestito altra maglia che quella giallorossa. È il segnale non solo di un luogo comune molto diffuso (vincere a Roma è più difficile che in altre à) ma soprattutto di un mutato rapporto tra i tifosi e i calciatori. Questi ultimi sono ancora idoli, certo, ma è aumentata la voglia di buttarli giù dal piedistallo dove sono stati
. La critica non è più tecnica, è diventata personale.




Difficile dire se resterà o no alla Roma. Ma, in fondo, non è nemmeno questa la considerazione più importante. Esisterà una Roma con o senza di lui. Ma, quando si parlerà di calcio senza più bandiere, bisognerà avere anche l’onestà intellettuale di dire che è il calcio che non le vuole più. A meno che non vincano. O non siano sempre i migliori in campo.

(pubblicato nell'edizione del 19/06/2013)