Luis Enrique, Zeman e Andreazzoli: sbagli reiterati in panchina

06/06/2013 10:12

Compare spesso la figura rassicurante di un amico o di un padre putativo nella parabola di Baldini. Con Fabio Capello ha programmato, ha litigato, ha di nuovo lavorato in Inghilterra dopo un periodo trascorso a vendere macchine per il caffè in Sudafrica. Roma è stata il rifugio dorato, l’orizzonte di gloria. Bella presenza, facilità di parola e un loft a via Margutta che sta per lasciare. (...)

Aveva il compito di riorganizzare la società e si è trovato lui stesso smarrito in una struttura labirintica. Avrebbe dovuto mettere mano alla comunicazione, impiantando il modello americano che prevede obblighi di relazioni pubbliche per i giocatori, contatti continui con i tifosi. Con lui invece Trigoria è diventata un castello fortificato, sterilizzata anche della possibilità di creare profitti. Poi Baldini ha sofferto come un’offesa la presenza di un uomo di fiducia della maggioranza statunitense, l’amministratore delegato Italo Zanzi.



Può darsi che queste osservazioni non lo trovino d’accordo. Legittimo. Dove lui stesso ammette di avere sbagliato è nella scelta degli allenatori. Alla Roma sono passati due tecnici diversi in due anni e un terzo è stato spedito al fronte dopo anni di lavoro in retrovia. La cronicizzazione dell’emergenza. Baldini ha sopravvalutato la determinazione di Luis Enrique, la flessibilità di Zdenek Zeman, il tempo e lo spazio concesso ad Aurelio Andreazzoli. Sull’identità dei tecnici ha prima imposto la sua visione delle cose, poi accontentato i tifosi, infine inseguito la volontà dei giocatori. Nel labirinto che ha tentato di raddrizzare si è perso, poi depresso, infine arreso.

Baldini non è colpevole del male del mondo ed è persino responsabile di alcune cose buone, come la volontà tenace di perseguire la realizzazione dello stadio di proprietà, il cumulo di talento giovane che promette un eccellente futuro. Roma comunque era ormai troppo piccola per accogliere entrambi, lui e la società.