Usa e gioca. Tournée d’oro in America, una gara vale un milione

30/07/2013 10:17



Quella Supercoppa 2003
La moda della tournée dall’altra parte dell’oceano ha ormai una decina d’anni di storia alle spalle: dimostrazione che i conti, per organizzatori e ospiti, tornano. Il primo boom ci fu proprio dieci anni fa, estate 2003. A fare da apripista furono Milan e (ma c’era pure la Lazio), che ai primi di agosto si trovarono al Giants Stadium per la «rivincita» della finale di in Supercoppa italiana (e stavolta ai rigori vinsero i bianconeri). Per preparare la sfida del New Jersey, Marcello Lippi e Carlo portarono le loro squadre in giro per la East Coast, peraltro affollata anche da Manchester United, , Celtic e Boca Juniors. Tutti lautamente pagati, tutti capaci di riempire gli stadi a stelle e strisce. Da allora, i più assidui frequentatori del continente americano sono stati i milanisti.



Milan aficionado
Da a Leonardo fino ad Allegri, sono cambiati gli allenatori mail gruppo rossonero è praticamente sempre andato negli Stati Uniti in tour estivo. Che può portare nelle casse circa un milione a partita. Senza contare il ritorno in termini di marketing ed esposizione del marchio. La , dopo il 2003, è tornata a varcare l’oceano con nel 2011, forgiando il suo gruppo nel caldo da fornace di Philadelphia. Si direbbe che ha portato bene. E lo stesso può dire l’Inter, negli Stati Uniti nell’estate 2009: c’era ancora Ibrahimovic, che lasciò il ritiro americano per andare al , arrivò Eto’o e i nerazzurri conclusero la stagione con il Triplete. Mourinho, per non sbagliarsi, in questi giorni è volato negli Usa con il Chelsea. E ritroverà proprio l’Inter a Indianapolis, il 2 agosto.



Figuracce
Pazienza se poi viaggi non proprio confortevoli da una à all’altra ma stavolta gli spostamenti sono meno disagevoli provocano qualche figuraccia. Come quelle del Milan di Max Allegri l’anno scorso, quando un 1-5 con il Real Madrid a New York mandò su tutte le furie Adriano Galliani. Lo stesso Leonardo, che nel 2009 rimediò tre sconfitte su tre gare americane, si lamentò del calendario troppo fitto della amichevoli. Ma almeno in questo l’esperienza insegna: stavolta le italiane si presentano in America con circa tre settimane di lavoro nelle gambe. Abbastanza per evitare il problema principale: gli infortuni. E sapendo che comunque, in questi casi, il cassiere spesso conta più dell’allenatore.