Numero 1 per tutti ma per Bianchi no

10/09/2013 09:43



Francesco ha avuto nella sua straordinaria carriera una ventina di allenatori e, salvo un’eccezione, è andato d’accordo con tutti. Anzi chi l’ha allenato ha un ricordo di lui splendido, irripetibile e soprattutto, cosa fondamentale, un rispetto che non si concede a tutti. L’unico che non capì , fu Carlos Bianchi, arrivato dopo le focose stagioni trasteverine di Mazzone. aveva appena vent’anni, ma era già un talento purissimo e Bianchi provò a mandarlo alla Samp, sia pur in prestito. già a quell’età aveva solo una maglia e le idee chiare: si rifiutò e convinse Sensi definitivamente, segnando due gol all’Ajax, in un torneo natalizio senza storia. Inutile dire che rimase a Trigoria, Bianchi qualche mese dopo tornò in Argentina.



Francesco, per sua fortuna, ha avuto molti allenatori, quasi tutti, migliori di Carlos Bianchi ed è stato abile nell’adattarsi alle situazioni, nell’interpretare più ruoli. Boskov lo fece esordire a meno di 17 anni a Brescia, giusto per segnalare al mondo la nascita di questo campione. Poi ci ha pensato Mazzone a far crescere il ragazzino: bastone e carota, pochi elogi e molti rimproveri, un po’ in campo e un po’ in panchina, pochi riflettori, sino a sottrarlo alle interviste di rito. Superata la breve parentesi argentina con Bianchi, è stato decisivo l’arrivo di Zeman. Il boemo non vincerà mai uno scudetto, ma come maestro di calcio non scherza. Ha fatto di , ancora tenero e fragile (...)




L’altro tecnico che ha cambiato la storia di si chiama Luciano Spalletti: con lui, Francesco, a 29 anni, da inimitabile trequartista, si è trasformato in centravanti e goleador, al punto che oggi insegue il record di Piola. Spalletti non ha mai smesso di ammirarlo, ma forse per questo avrebbe preteso ancora di più da lui. Spesso, in quegli anni di calcio spettacolare, borbottava, si lamentava dell’indolenza del suo capitano, un limite caratteriale, un freno che gli negava vette ancora più alte. In realtà, ha continuato a incantare e a far gol, sta per compiere 37 anni e non si intravede il declino.

Non lo intravede nemmeno , che lo ha messo al centro del suo progetto. L’anno scorso Zeman, appena tornato, andò a cena con il suo vecchio pupillo e la cosa piacque poco alla squadra. invece ha parlato con tutti, e a Trigoria non dall’oste; per non ha avuto alcun riguardo, peraltro mai chiesto o preteso. Certo non ha fatto l’errore strategico di Luis Enrique, che ingenuamente lo mise in panchina nel precampionato: il francese ha intuito quanto vale e cosa rappresenta il capitano. Non ci vuole molto, in verità. Anche in nazionale ha trovato i ct dalla sua parte. Sacchi fece appena in tempo a chiamarlo, quando era ancora un ragazzino; Zoff lo portò agli Europei, poi persi ai supplementari, facendone il fulcro della squadra; Trap lo definì il “mio Zidane”; sino alla splendida favola di Berlino, dove grazie alla testardaggine e alla lealtà di Lippi, ha vinto un mondiale tre mesi dopo la frattura alla caviglia.

E volete che , dopo aver recuperato talenti come e , ora non stringa un patto di ferro con il suo capitano? Un patto che può solo far bene alla Roma.