29/10/2013 11:21
Colpiscono le immagini di Federico Marchetti, un azzurro, un ottimo professionista, che all'Olimpico priima della gara contro il Cagliari è costretto ad andare dagli ultrà, battendosi la mano sul cuore, lui che era già stato contestato duramente nella triste trasferta di Nicosia. Quasi un atto di sottomissione medievale. Marchetti deve scusarsi, altrimenti, non è degno. Altrimenti, addio onore. Un'atmosfera di simboli pesanti e reazionari, quasi sempre di estrema destra (ma non solo), circonda Marchetti, che poi gioca una partita men che normale, con qualche comprensibile incertezza, e alla fine saluta di nuovo il pubblico insieme ai compagni. E qui scavalcano le transenne quattro energumeni che nessuno ferma, a cui nessuno fa presente che le invasioni barbariche non sarebbero permesse, ed ecco il secondo confronto all'americana col portiere. In gergo, un chiarimento.
Ma cosa c'era da chiarire? E' Io stesso calcio che fece rimandare un derby per volontà dei violenti, nell'identico stadio, ma purtroppo non è un problema circoscritto a nessuna geografia, non c'è nulla di territoriale - la parola va di moda - in questo tumore sportivo. Per il giudice, l'invasione di quattro teppisti non vale neppure un'ammenda: nessuno ha visto, oppure è sembrato tutto normale: ma quando la violenza, anche psicologica, diventa prassi, è difficile tornare indietro. Indietro non tornano neppure le curve alleate nell'insano progetto di far chiudere gli stadi. Pure gli ultrà della Juve hanno esaurito il bonus, come altre illustri tifoserie in questo inquietante autunno del pallone: al prossimo, immancabile coro di sostegno al Vesuvio, un pezzo dell'impianto torinese, per molti versi esemplare ma non per tutti, sarà sprangato. Continuano le alleanze trasversali, non c'entra più il tifo, chi sta con chi, chi è contro chi. Si capisce solo che questa gente è contro tutti, compresi i propri colori e la propria bandiera: vuole solo dimostrare chi è il vero padrone di un calcio malato, quasi moribondo. Non incurabile, peggio: mai davvero curato.