Quella forza in più che si chiama sobrietà

01/10/2013 10:52

Un’estate a chiedersi se andava via o no. Erano in tanti ad essere certi che la parabola di «capitan futuro» volgesse al termine. E invece. Garcia ha affascinato calciatori e tifosi. è tornato il campione che conoscevamo, Balzaretti si è trasformato perfino in goleador, Borriello si è messo a disposizione del gruppo e il nostro caro Taddei è diventato un utile rincalzo da premiare per l’impegno. Sono arrivate le vittorie. Si è vista una squadra sicura, sempre attenta, con un suo gioco identificabile. Amministra il gioco, fa correre a vuoto gli avversari, fa possesso palla con passaggi precisi e veloci come avrebbe voluto Luis Enrique, poi verticalizza improvvisamente come avrebbe voluto Zeman. Segna molto, ma soprattutto non si scopre mai. Non è mai in affanno e le rare conclusioni concesse agli avversari, una sola rete subita, una o due parate del , sono frutto del caso. Una squadra mai isterica o nervosa. Una Roma così può far impazzire. Eppure ha trovato una forza in più: quella della sobrietà. Un antidoto agli entusiasmi che debilitano, ai sogni che sfumano. Ricordo bene la vigilia della finale con il Liverpool. Era tutto pronto per la festa. Il Circo Massimo aspettava gli eroi. Le auto avevano tutte il pieno di benzina per una festa senza limiti, migliaia di bandiere erano pronte a sventolare. Quei rigori maledetti sgretolarono l’entusiasmo. Ero allo stadio in quel famoso Roma-Lecce.Festa in campo con il sindaco Signorello. Poi dopo la rete di Graziani l’attesa era solo per il fischio dell’arbitro che mettesse fine a una formalità. Finì come tutti sappiamo. Lasciai l’Olimpico frastornato, come era potuto succedere? Successe e lo scudetto sfumò. Così come in quella gara con la Sampdoria. L’entusiasmo preventivo si trasforma spesso in delusione. Stavolta non ci siamo cascati. Siamo stati sobri e vincenti. Abbiamo battuto la Lazio con la certezza di essere più forti. Nessuna vendetta, nessuna rivincita, solo il ristabilimento della normalità dei valori.

C’è chi sta sopra e chi sta sotto. Loro stanno sotto. Abbiamo vinto, ma non c’è stata l’isterica tracotanza dei perdenti per destino saliti per un giorno sugli altari. C’è stata la sobria soddisfazione di chi sa di essere più forte e ha solo fatto il proprio dovere. Dopo la vittoria a Genova temevo il . Non solo per alcuni spiacevoli ricordi, ma temevo soprattutto la voglia di festeggiare prima della partita. Temevo la delusione e la caduta. Non ho fatto pronostici, ho evitato di parlare di quella partita. Speravo nella vittoria, la ritenevo probabile. Ma nel calcio non si sa mai. Temevo l’euforia, quella che fa diventare certezza una speranza. E invece. Che bella la Roma. Quell’insieme armonico e possente è stata una sorpresa meravigliosa. La sesta è stata la vittoria più bella, più convincente, quella che ci fa pensare che gli obiettivi di questa squadra ancora non sono stati delimitati. Ma ancor più mi è piaciuto che fuori dallo stadio non c’è stata esultanza esagerata e isterica. Felici ma con sobrietà.

Eppure c’è di che gioire. Chi ricorda una gara simile? Mai un secondo di ansia, mai un contropiede, mai un rimprovero a un calciatore. In porta quel che sul 5- 0 urlava tanto da coprire le urla dello stadio. Nessuna festa preventiva, il andava sconfitto prima sul campo e per dirla con Renzi, è stato asfaltato. Ma senza arrogante presunzione, i tifosi sanno che non basta vincere sei partite di seguito, bisogna tagliare il nastro del traguardo. Una lezione di realismo che ha contagiato tutti. Merito di . Merito di uomini di carattere e di esperienza che hanno dato una scossa all’ambiente. E diciamolo per una volta, merito anche di . Se c’è una squadra con carattere, con personalità è per caso? I calciatori scelti hanno le caratteristiche da noi tifosi sempre invocate? E se li ha scelti non dobbiamo dirgli bravo? E se ha stupito tutta l’Italia dimostrando anche la nostra provincialità, non merita una riconoscimento anche chi l’ha scelto e ha avuto fiducia? Adesso ciò che conta è la gara con l’Inter.

Difficile sicuramente. Ma non andiamo a Milano sperando nel miracolo. Questa Roma è forte, ha il miglior centrocampo del campionato, bravo nell’impostare e micidiale nel bloccare gli avversari esaltando le doti dei difensori. E in avanti facciamo male. Piedi per terra, ma stavolta è l’Inter che deve aver paura di noi. Andiamo a Milano con sobria e possente determinazione. E’ la Roma che vogliamo e di cui siamo orgogliosi e che quando vincerà qualcosa di importante ci farà festeggiare, senza sobrietà.