C. Sorrentino: «Stipendi da fame e guai a fiatare quando non ti pagano»

13/11/2013 09:47

 
IL RACCONTO
I campionati minori rappresentano un microcosmo di quotidiane paure e precarietà. Racconta Corrado Sorrentino, ex calciatore, ora allenatore della Carpisa Yamamay di calcio femminile. «Ho iniziato da giovanissimo nella Stabia, poi sono passato alla prima squadra, ci pagavano poco meno di un milione di vecchie lire a mese. Non sempre, però, lo stipendio si poteva riscuotere. Perché? Semplice non c’era e basta. Guai a alzare la voce, sarebbe potuto andarti anche peggio». E poi: «Va malissimo nelle categorie a ridosso dell’ex serie C. Lì non c’è lo status di professionista e quindi esistono solo rimborsi spese. Non essendo un vero e proprio stipendio, fino a poco tempo fa non c’era copertura assicurativa. Tante volte non s’è visto un soldo. Io ero un ragazzo ma quanti colleghi padri di famiglia non sbarcavano il lunario?». Molti hanno continuato con il calcio ai minimi termini, convivendo purtroppo con un’esistenza sfasciata. «La situazione insostenibile mi spinse a occuparmi di sindacato attraverso l’Aic - racconta Sorrentino conducemmo la battaglia per il rimborso garantito, ottenendo una sorta di fondo d’assistenza. Tuttora molte società non ti riconoscono neppure sette-ottocento euro di paga. Se ho subito pressioni per la mia attività sindacale? Sì, molte. Gli ultrà? In alcune à ho assistito a minacce e intimidazioni». Sorrentino ha girovagato per la Campania. La Stabia, la Casertana, il Marcianise, l’Ercolanese e pure l’Albanova. Già l’Albanova, la squadra che disputò la C2 e poi venne radiata nel corso dell’inchiesta sul clan dei casalesi, l’operazione “Spartacus”. 
 
IL CASO ALBANOVA
I calciatori della formazione di Casal di Principe si sono allenati e hanno giocato nello stadio dei veleni. Lì dove, come ha rivelato il pentito Carmine Schiavone, sono state nascoste sotto il verde del campo tonnellate di rifiuti tossici. Questi parenti poveri dei professionisti in partita sembrano quelli della serie A, hanno la fascia per i capelli e le maglie appena un po’ più grandi dei sogni, e infatti ci ballano dentro con i loro problemi e loro miserie. Ma è storia antica che si ripete da anni. Un ex calciatore, oggi avvocato e imprenditore di successo, racconta i suoi trascorsi sconcertanti. Dopo un’esperienza nel baby, trovò maglia e squadra a Palma Campania dove diventò un idolo, portando per la prima volta la Palmese in serie C. E firmò il suo primo contratto in una cella di un penitenziario, perché il presidente Biagio Maffettone, detto ‘e cimminer, in galera per vicende di camorra, riceveva abitualmente tra le sbarre calciatori e allenatore. Maffettone venne assassinato, in seguito, durante un’imboscata tesa dal clan rivale. E poi c’è il macabro episodio di Avellino. Si rischiava la retrocessione e sul campo d’allenamento spuntarono sedici croci. Su ognuna una lapide con scritta la data della fine del campionato, e il nome dei calciatori e di Ciccio Graziani, l’allora allenatore.