Gervinho: "Sogno di andare a cena con Obama"

28/01/2014 09:38

LEGGO (F. BALZANI) - Ha le treccine da rapper (adora Jay-Z), il sorriso timido di chi ha avuto un’infanzia difficile e l’andatura barcollante che ricorda le grandi ali del passato. L’immagine della Roma che rincorre il sogno scudetto ha il volto di Lombe Yao Kouassi. In una parola: Gervinho. Nato ad Anyama, Costa d’Avorio, 27 anni fa, scoperto da nel 2009 e riportato alla ribalta dallo stesso tecnico francese dopo la delusione . Quello che a inizio stagione soprannominavano “Er tendina” (o “er Monnezza) e che oggi qualcuno vede anche bello. Miracoli del calcio. Capocannoniere della Roma con 6 gol (5 in campionato e uno in coppa), re degli assistman con 4 passaggi vincenti e pedina inamovibile del variegato attacco giallorosso Gervinho - dopo il gol alla e le magie di Verona - è diventato l’idolo dei tifosi. Sui social network impazzano i fotomontaggi che lo ritraggono mentre supera Bolt o multato dall’Autovelox. Nelle radio invece circola una “Shake your booty” rivisitata con il nome dell’ivoriano al posto del ritornello: chissà se l’avrà ascoltata durante il tragitto da Casal Palocco, dove vive, a Trigoria a bordo della sua Mercedes Classe S bianca. Una bella rivincita per il presunto bidone. «All’ non sentivo abbastanza fiducia – ha dichiarato al Daily Mail - non mi è stato dato il tempo per dimostrare il mio valore. Quando giocavo spesso lo facevo fuori posizione. Ero andato a Londra per vincere titoli, e ora sono a Roma con lo stesso obbiettivo». Senza dimenticare l’amata Costa D’Avorio: «L’Africa è la mia terra e ha bisogno di pace e sorrisi. Drogba? Una fonte d’ispirazione Non solo perché è un campione, ma anche tutto quello che fa per il nostro popolo. Alcuni suoi discorsi sembrano quelli di un presidente». E a proposito di capi di Stato, Gervinho ha un debole per Obama: «Mi piacerebbe andare a cena con lui. Lo stimo veramente. Se non avessi fatto il calciatore mi sarebbe piaciuto lavorare nel settore dell’istruzione o in quello bancario, ma sarebbe stata dura in Africa. Il calcio ha salvato me e la mia famiglia. Sono cresciuto con molto poco e delle cose materiali mi frega il giusto. Ho solo bisogno del benessere di mia moglie e delle mie tre bimbe (ha il loro nome e le loro date di nascita tatuate sul braccio, ndr)». La Roma, invece, ha bisogno ancora di lui per continuare a correre.