07/02/2014 09:21
CORSERA (L. VALDISERRI) - I cori di «discriminazione territoriale» cantati contro il Napoli costano alla Roma la chiusura delle curve nelle partite contro la Sampdoria (16 febbraio) e contro l’Inter (1 marzo). La prima per il fatto in sé, la seconda perché il Giudice sportivo ha disposto la revoca della sospensione della precedente squalifica, inflitta dopo Roma-Napoli di campionato (18 ottobre 2013). La società giallorossa - che per bocca del global Ceo, Italo Zanzi, ha ribadito di essere contro ogni tipo di razzismo - ha annunciato un ricorso.
Mossa obbligata per avere a disposizione gli atti che hanno portato alla decisione del Giudice sportivo. Poi studierà definitivamente come comportarsi. L’eventuale ricorso formale ha pochissime speranze di essere accolto, perché i cori sul Vesuvio sono stati ripetuti e molto percepibili. Secondo alcuni esperti di diritto sportivo, però, non è chiaro l’intreccio tra sanzioni e competizioni diverse. Le squalifiche dei giocatori, per esempio, non si «trasportano » da campionato a Coppa Italia e viceversa. In questo caso, invece, il comportamento di parte del pubblico in Coppa fa saltare la «condizionale » che era prevista per il campionato. Stando a quanto trapela dalla Lega, però, l’automatismo dello «slittamento » delle sanzioni sarebbe esplicito nell’articolo 22 del codice di giustizia sportiva.
Non c’è dubbio che la «discriminazione territoriale» sia un unicum della giustizia sportiva italiana, che non trova altri esempi all’estero. E non è semplicissimo capire perché sia punibile un coro sul Vesuvio e non il coro «romano bastardo» o similari. Ma di questo si potrà discutere «a bocce ferme», finito il campionato. Da qui a maggio la regola è questa e chi innalza certi cori sa benissimo a cosa andrà incontro. Per adesso è la chiusura dei settori, ma in futuro anche penalizzazioni in classifica o, per i casi più gravi, l’esclusione dal campionato. Per molti gruppi ultrà si tratta di una battaglia in nome della libertà di espressione e contro «l’ipocrisia dei benpensanti». Peccato che a pagare sia soprattutto la squadra, che dovrebbe essere il bene più prezioso per un tifoso. A meno che non sia più tifoso di se stesso e della sua categoria.