04/03/2014 08:16
GASPORT (L. GARLANDO) - La Roma ce l’ha con Prandelli perché non ha convocato De Rossi, la Juve invece ce l’ha perché ha convocato Chiellini. Il mondo è bello perché vario. Il c.t. ha risposto prima di volare a Madrid, città del trionfo mondiale di Bearzot che coniò un rito: impallinare un c.t. prima di un Mondiale aiuta a vincere. In realtà Prandelli, che ha educato la Nazionale ad agire e non a reagire tatticamente, vorrebbe arrivare in Brasile col sorriso, senza bisogno di frustate d’orgoglio. Comunque ieri ha risposto con un’energia non banale, che poi interpreteremo. Alla Roma che si è lamentata della «squalifica » di Prandelli arrivata prima di quella del giudice sportivo, il c.t. ha ribattuto secco: «Il giudice sono io». Questo è stato il patto condiviso da tutti gli azzurri, De Rossi compreso, in materia di comportamenti. Se un figlio tira un pugno a scuola, il padre non aspetta la sanzione del preside per intervenire. Sarebbe stato più logico che Capitan Futuro, conscio del patto, avesse telefonato subito per le scuse a Prandelli e avesse magari frenato sull’idea del ricorso. In uno dei caso precedenti, la Roma lo evitò opportunamente. Si può disquisire su un fuorigioco. Un pugno in faccia a un avversario è la morte dello sport e basta. Garcia, che vorrebbe parlare solo di calcio, nel caso, dovrebbe volare più alto della ragion di stato. Un c.t. che lavora per quattro anni al sogno di una vita ha diritto a giocarsi quel sogno al meglio e non 10 contro 11. Il pluri-recidivo De Rossi è un rischio aperto. Logico che si faccia di tutto per disinnescare quel rischio.
La risposta a Conte è stata più secca nel tono che nei contenuti, nel piglio con cui ha scandito: «Ho diritto di convocare chi gioca e o chi va in panchina pronto a giocare». La disponibilità data da Chiellini alla convocazione e più ancora le garanzie del medico della Juve mettono fuori gioco le riserve di Conte, che ha sbagliato vocaboli. A Prandelli si potrebbe semmai suggerire un maggior uso del telefono in uscita e non soltanto in entrata, con i colleghi. Ma l’educazione non c’entra. I due casi, e soprattutto la ferma risposta del c.t. vanno interpretati in uno scenario più ampio. Ieri Cesare Prandelli ha tenuto la prima conferenza del suo nuovo quadriennio. Non a caso ha parlato del progetto tecnico che gli sta a cuore e che discuterà presto con la Federazione. E non a caso ha scherzato su una «Federazione che ora si fa rispettare di più». Il nuovo progetto prevede più attenzioni per la Nazionale e un diverso rapporto di forze con Leghe e club, padroni finora di negare stage e fare pesare il prestiti di giocatori.
I casi Chiellini e De Rossi sono stati l’occasione per avvisare che l’aria sta per cambiare. La condizione prima di Prandelli per restare a Coverciano è chiara e il c.t. lo ha ribadito anche ieri: «Che tutte le parti del calcio condividano il progetto». E quindi lo appoggino. Non si può chiedere alla Nazionale di farci cantare po-po-po-po-po-po-po ogni due anni e di valorizzare giocatori senza dare nulla in cambio. Già la contingenza è grama. Le mamme hanno smesso di generare talenti. Per capirci: Argentina e Spagna lasciano a casa Tevez e Llorente, noi ci teniamo stretti la loro riserva (Osvaldo) e naturalizziamo un argentino (Paletta), ritenuto inferiore a Fernandez del Napoli. Siamo legati al talento indomabile di Balotelli e a grandi vecchi (Buffon, Pirlo). In queste condizioni veniamo da un secondo posto europeo e un terzo in Confederations Cup. Per andare avanti Prandelli chiede che almeno tutti remino dalla stessa parte e abbiano a cuore la causa. Troppo?