11/03/2014 09:30
IL ROMANISTA (M. IZZI) - Grandi infortuni e grandi ritorni. Una storia che vede in Kevin Strootman l’ultimo di una serie. Non possiamo ricostruirne l’intera sequenza, ma ci piace partire da molto lontano, e precisamente dal maggio 1953, che segnò, dopo 10 mesi, la resurrezione di Amos Cardarelli, che, volato a disputare le Olimpiadi di Helsinki ’52, si busca una pleurite con i controfiocchi. Un mese di degenza al villaggio olimpico, accanto ad un filippino malato non si sa bene di cosa, quindi il ritorno a Roma, sbiancato e smagrito. Dopo mille tribolazioni (Cardarelli venne anche ospitato a casa del presidente Sacerdoti), nel giorno del sabato santo, il rientro nell’amichevole fra le riserve romaniste e lo Stabia, davanti a 5000 persone. Cardarelli, come raccontano le cronache dell’epoca, alla fine del match «si concesse una piccola fatica supplementare, una spettacolare capriola ».
Dalla capriola di Amos, eccoci all’infortunio di Carlo Ancelotti, contro la Fiorentina, a causa di un intervento assassino di Casagrande, il 25 ottobre 1981. L’evento venne vissuto da tutta la tifoseria come un autentico lutto. Nella memoria dei tifosi erano ancora troppo vivi i drammi sportivi di Spadoni e Rocca; per questo, la rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro suonò già come una sentenza. Carletto, però, operato il 9 gennaio 1982, non si arrende, mostra sin da subito una grinta strordinaria. Appena svegliatosi dall’anestesia, inizia a incoraggiare i suoi compagni di reparto in attesa dell’anestesia: «Non vi preoccupate, fa più male togliere le tonsille». Quindi passa l’estate del 1982, quella che avrebbe dovuto essere consacrata al suo primo mondiale, a correre sui prati di Trigoria e a lavorare al fianco del professor Colucci e del dottor Alicicco. Inizia il campionato 82/83; i giornalisti, timidamente, iniziano ad accennare ad un suo possibile ritorno in campo, ma Liedholm gela tutti: «Ancelotti è recuperato ma prima di metterlo in squadra dovrà passare molto tempo. Non gioca da un anno, conosco giocatori che hanno subìto il suo stesso infortunio che riescono appena a camminare. Carlo deve avere pazienza».
Il ragazzo di Reggiolo soffre e di pazienza in realtà non ne ha più molta: «Sono un professionista e eseguo gli ordini. Però io mi sento pronto, voglio giocare. Ogni settimana, invece, debbo mandare giù un boccone amaro». I bocconi amari terminano il 17 ottobre 1982, quando il Barone, al 27’ della ripresa di Roma- Cesena, lo manda in campo in sostituzione di Prohaska. Carletto inizia così a prendere parte, da grande protagonista, alla marcia tricolore di quella stagione. Se il primo stop di Ancelotti è stato duro, il secondo sembra un incubo: 4 dicembre 1983, dopo neppure mezz’ora di gioco contro la Juventus, va in pezzi il ginocchio sinistro. Settanta giorni di gesso, Roma- Liverpool guardata da un seggiolino in tribuna e tanta, tantissima rabbia in corpo. Il ritorno che sembra un miraggio, poi il dottor Perugia dà il suo responso: «Tornerai più forte di prima». Arriva dunque anche il giorno in cui il “Bimbo”, accompagnato da Silio Musa, si reca sul greto del Tevere per prendersi una colossale sbornia e gettare le proprie stampelle nel fiume (ma come vedremo Carlo ne aveva conservate almeno un paio...). Il 24 ottobre 1984, a quasi tre anni dal suo primo infortunio, e dopo un paio di falsi allarmi che scuotono non poco il centrocampista, ecco il nuovo rientro, contro il Wrexham, in Coppa delle Coppe, accolto da uno striscione della Sud: «Bentornato Carletto».
«Ce l’ho fatta perché la gente di Roma è speciale – dichiara – Ero pronto a scendere in campo in qualsiasi città, contro qualsiasi avversario, pur di riassaporare la gioia del ritorno al calcio, ma in cuor mio mi auguravo di poter festeggiare l’avvenimento all’Olimpico, dinanzi al mio pubblico: il suo calore è una magia, uno stimolo unico. Non potrò mai dimenticare quegli applausi che mi hanno tributato al mio ingresso in campo». Vola a Milano poi, il “bimbo”; errore sommo della presidenza Viola. E negli spogliatoi di San Siro ancora lo ricordano arringare i compagni prima di entrare in campo: «Queste sono le tre tattiche della partita di oggi. Rullo e tamburo, schiacciasassi e tritacarne».
Il nostro viaggio si sposta al 10 aprile 1988, giornata che aveva già riservato ai tifosi della Sud un’emozione forte: Toninho Cerezo, con la tuta della Samp, si era recato per l’ennesima volta sotto la sua vecchia curva raccogliendo un’ovazione. Poi, sul campo, un deludente 0-2 in favore dei blucerchiati e al 76’, nuovo tuffo al cuore: fuori Fulvio Collovati e dentro Sebino Nela, che, proprio contro la squadra ligure, il 10 maggio del 1987, aveva riportato un grave infortunio al ginocchio. Il calvario di Sebino era stato assai amaro; una volta ricoverato a Villa Bianca si era isolato, era rimasto ferito da un brutto titolo di un quotidiano capitolino, che il 15 maggio aveva sentenziato: «Carriera finita per Nela». Una volta dimesso, Nela aveva fatto una capatina a Trigoria, dove aveva lasciato il suo numero su un muro dello spogliatoio. Alcuni dei suoi compagni non si fecero vivi, altri, come Carlo Ancelotti, furono straordinari nel trasmettergli consigli ed entusiasmo. Soprattutto Carletto si fece in quattro, regalando al compagno di scudetto le sue stampelle (Carlo, ma non erano finite nel Tevere?): «Vedrai che porteranno fortuna anche a te». Dopo undici mesi di calvario, dubbi, fisioterapia, di nuovo il campo e una carriera che sarebbe continuata tranquillamente, sino a metà degli Anni Novanta.
Ancora un salto e arriviamo all’agosto 2000. Il giorno 6, a Berlino, contro l’Hertha, Emerson Ferreira da Rosa indossa la sua prima casacca giallorossa. Appena il tempo di lustrarsi gli occhi e il 18 agosto, sul finire dell’allenamento, il brasiliano poggia male la gamba e riporta la lesione dei legamenti del crociato. Il 24 agosto, giorno della presentazione della squadra sarà all’Olimpico con tanto di gesso. Il recupero comporta quasi cinque mesi d’attesa. Poi, la Roma, all’inizio di gennaio, provvederà ad organizzare due amichevoli tutte per lui, contro il Fiumicino e l’Ostiamare. Quindi, il 28 gennaio 2001, al 12’ della ripresa di Roma-Napoli, l’Olimpico esplode in un boato per il ritorno in campo (con esordio in serie A) del “Puma”, che prende il posto di Delvecchio. Negli spogliatoi, il brasiliano consegnerà la sua prima maglia romanista a Silio Musa (ancora lui), sua guida nella difficile riabilitazione. Il ritorno ancor più recente (e clamoroso) di Damiano Tommasi, dopo il terribile infortunio del 22 luglio 2004. Poi, Totti, la conferma di quanto la volontà personale può incidere sui tempi di recupero da un trauma sportivo. Nel 2006 tornò per vincere il Mondiale, nel 2008 il crociato anche per lui. E il ritorno, da campione.